Caritas Italiana e Fondazione Zanacan: in Italia la povertà dei diritti negati
Non sono solo le condizioni economiche ma anche la negazione di alcuni diritti fondamentali a determinare povertà ed esclusione sociale e soprattutto a renderne difficile il superamento, secondo l’XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia curato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan
«Alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia – pur tutelati dalla Costituzione italiana – sono i primi a essere messi in discussione e negati. Allo stesso modo, viene regolarmente violato il “diritto a non scomparire per effetto statistico”, visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie». È quanto scrivono gli autori dell’XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, pubblicato a fine ottobre 2011 a cura di Caritas Italiana e Fondazione Zancan, non a caso intitolato quest’anno Poveri di diritti.
Sottolineando la «sostanziale difformità» tra i dati ufficiali relativi alla povertà in Italia e la reale condizione del Paese, che richiederebbe un metodo di rilevazione più sensibile ai cambiamenti, il Rapporto osserva che secondo le rilevazioni dell’ISTAT la povertà è aumentata tra il 2009 e il 2010: i 7,81 milioni di persone povere (13,1% della popolazione) stimate nel 2009 sono diventati 8,27 milioni (13,8%) nel 2010, mentre il numero di famiglie che vivono in condizioni di povertà è passato da 2,66 milioni (10,8%) a 2,73 milioni (11%).
Nel corso del 2010 la povertà relativa è aumentata, rispetto all’anno precedente, tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra le famiglie monogenitoriali (dall’11,8% al 14,1%), tra i nuclei residenti nel Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7% al 47,3%) e tra le famiglie in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7% al 17,1%). La povertà però, sottolinea il Rapporto, è aumentata anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio‐alto (dal 4,8% al 5,6%, mentre per questa tipologia di persone la povertà assoluta è passata dall’1,7% al 2,1%).
Negati diritti fondamentali
Ciò che manca in Italia, secondo gli autori del Rapporto su povertà ed esclusione sociale, è una prospettiva corredata di misure che permettano alle persone in difficoltà di migliorare la loro condizione, con la consapevolezza cioè che l’uscita dalla povertà è possibile.
«Invece oggi esiste una “cultura diffusa” secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello Stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire» sostengono gli autori del Rapporto, secondo i quali è proprio questo atteggiamento a comportare «la negazione di alcuni tra i diritti fondamentali».
• Diritto alla famiglia: la povertà colpisce con particolare violenza le famiglie numerose, con più di due figli. «Senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le ripercussioni a livello demografico saranno pesanti» si legge nel Rapporto, che sottolinea tuttavia come nel bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra un decremento dai 185,3 milioni di euro del 2010 ai 31,4 milioni previsti per il 2013.
• Diritto al lavoro: in Italia i cittadini di età compresa tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito sono quasi 23 milioni, cioè circa il 56,9% del totale che rappresenta una percentuale tra le più basse dell’Occidente. Sono soprattutto tre le categorie maggiormente vulnerabili: i giovani, il cui tasso di occupazione è in continua diminuzione; le donne, meno della metà delle quali ha un lavoro; le persone diversamente abili, per le quali gli avviamenti effettivi al lavoro riguardano appena un quarto delle domande di assunzione presentate.
• Diritto al futuro per i giovani: i giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo INPS, ossia di 500 euro. Si tratta dei poveri relativi di oggi e dei poveri assoluti di domani.
Soldi spesi male
Gli enti locali continuano a investire molte risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà ma con scarsi risultati, osservano gli autori del Rapporto denunciando come il problema di fondo sia rimasto pressoché invariato: «Prevale la logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l’uscita dal disagio, anzi, rischia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che, a fronte dell’aumento di risorse, non si è registrato un corrispettivo calo del numero dei poveri in Italia». Tra il 2008 e il 2009, infatti, la spesa assistenziale dei Comuni è aumentata del 4%, la spesa per la povertà dell’1,5% e quella per il disagio economico addirittura del 18%, il tutto però senza incidere positivamente sulla riduzione della povertà.
«Eppure in Italia si continua a percorrere questa strada fallimentare» sottolinea il Rapporto Caritas-Zancan: la maggior spesa pro capite è riservata tutt’oggi ai contributi economici una tantum a integrazione del reddito familiare: nel 2008 per erogarli sono stati spesi 276 milioni di euro, cioè 4,62 euro per abitante. Questi contributi rappresentano circa il 13% della spesa per persone povere o con disagio economico, un altro 12-13% è finalizzato a erogare contributi per l’alloggio, mentre quelli per cure o prestazioni sanitarie rappresentano il 2% e quelli per i servizi scolastici solo l’1% della spesa per povertà e disagio economico.
Naturalmente il tutto avviene con enormi differenze a livello regionale: nel 2008 il divario di spesa pro capite tra chi ha speso di più e chi ha speso di meno è stato di 1 a 9 per la spesa sociale complessiva, di 1 a 11 per quella destinata alle persone con disagio economico e di 1 a 9 per la spesa per il contrasto alla povertà. Le regioni a statuto speciale e le province autonome confermano la loro maggiore capacità di spesa, anche per quanto riguarda la povertà e il disagio economico.
Andare oltre l’emergenza
I dati e i fatti dimostrano che le politiche adottate finora per contrastare la povertà e l’esclusione sociale non sono riuscite a incidere sul fenomeno, perciò sostengono gli autori del Rapporto «anziché continuare a insistere su una strada dimostratasi fallimentare è ora importante segnare un netto cambiamento di rotta».
Tra le proposte si ritiene indispensabile «incrementare il rendimento della spesa sociale» e «recuperare i crediti di solidarietà» destinandoli prioritariamente a interventi di Welfare a servizio dei poveri. Vanno messe radicalmente in discussione le politiche di lotta alla povertà basate su misure standardizzate, di tipo burocratico, che guardano alle carte più che alla effettiva condizione delle persone: basta dunque con i «trasferimenti monetari senza responsabilizzazione».
Per aumentare il rendimento della spesa sociale è poi importante la «professionalizzazione dell’aiuto»: «Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti attivabili per lavori di cura e infrastrutture di Welfare. Molte donne con figli e molti giovani uscirebbero dalla disoccupazione e dalla povertà lavorando a servizio degli altri». Infine, propongono gli autori del Rapporto, i fondi oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare (17-18 miliardi di euro) potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento superiore misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.
Fonte: Caritas Italiana – Fondazione Zancan, “XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia”, ottobre 2011