Creare spazio per costruire il nuovo

scritto da Tiziana Ciampolini il 15 December 2011 in 6 - L'ombra della povertà and Opinioni e commenti con commenta

“Poveri di diritti” è il titolo del Rapporto Caritas-Zancan 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia, presentato lo scorso ottobre. I cittadini colpiti da povertà relativa sono 8.272.000, il 13,8% della popolazione, mentre versano in stato di povertà assoluta 3.129.000 persone, il 5% della popolazione. Inoltre, l’Ufficio statistico europeo, Eurostat, stima un impoverimento crescente per circa il 20% degli italiani, che hanno esaurito i loro risparmi e guardano il futuro con preoccupazione.
Nel 2011 l’Italia ha festeggiato i 150 anni dall’Unità e Caritas Italiana ha deciso di collegare il fenomeno della povertà con la Carta Costituzionale, per chiarire che la povertà non è solo legata alla limitatezza dei mezzi economici ma è anche privazione di diritti e doveri che dovrebbero essere garantiti ai cittadini.
Qualche settimana fa, la nostra Caritas Diocesana è stata invitata da un gruppo di giovani torinesi di varie nazionalità a raccontare la crisi di oggi per immaginare il futuro.
Mai incontro è stato così ricco per noi, grazie alle domande pertinenti e impertinenti dei ragazzi. Jorge, un ragazzo peruviano, mentre spiegavamo la crisi ci ha interrotto con questa domanda: «Ho bisogno di capire se il lavoro è un diritto o adesso non lo è più». L’articolo 1 della Costituzione recita: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Sì Jorge, il lavoro è un diritto, però di difcile accesso in questo momento storico.
L’articolo 2 della Costituzione dispone che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Questa norma, insieme a quella contenuta nell’articolo 1, definisce l’attuale forma di Stato, ci definisce come società.
La diminuzione delle opportunità di lavorare e di prefigurare il proprio futuro ci rende tutti più poveri e questo ben oltre il citato 20%. Questa povertà ce la fanno sentire i nostri giovani che faticano a trovare il loro posto nella società, che non riescono a mantenersi fedeli a ciò che son chiamati ad essere o a fare, che non hanno la possibilità di esercitare i propri talenti.
Il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il picco del 27,8% e abbiamo un primato in Europa: avere il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano (Not in Education, Employment or Training – NEET), 2,1 milioni pari al 22,1% della popolazione giovanile, tasso quasi doppio di quello medio europeo.
Una delle criticità più vistose del sistema di Welfare italiano è la mancanza di misure che permettano alle persone di migliorare la loro condizione e, come ci dice il Rapporto Caritas-Zancan, non è solo un problema di quantità di risorse, ma di risorse spese male. La maggior parte della spesa pro-capite è riservata a contributi economici una tantum, a integrazione del reddito. Nel 2008 sono stati erogati 274 milioni di euro, cioè 4,62 euro per abitante.
L’elemento di maggior preoccupazione espressa da Caritas Italiana è il disimpegno politico a contrastare e a ridurre la povertà, considerandola ineliminabile e attenuabile solo con la solidarietà libera della società civile.
Con tutti i limiti del caso, ma chi conosce la quantità di servizi realizzati dalle Caritas e da altre organizzazioni di volontariato in Italia sa che questi servizi hanno svolto una funzione di ammortizzatore sociale per attenuare i disagi della crisi. Non cadiamo nella trappola di credere che vada bene così. «Non sia dato per carità ciò che è dovuto per giustizia», recita il Concilio Vaticano II e lo ha ripetuto Benedetto XVI al termine del 35° Convegno delle Caritas Diocesane, tenutosi a Fiuggi e conclusosi con un’udienza in Vaticano.
Non può esistere una società senza solidarietà e ancor più essa non ha futuro senza fraternità, ma l’intervento dello Stato non può ridursi a “graziose concessioni” perché spetta ad esso assicurare la cittadinanza piena per tutti.
Solo dentro un progetto organico, che preveda anche la prevenzione e il superamento della crisi, la povertà può trovare una soluzione.
La persistenza e addirittura l’aumento della povertà in società a cosiddetto sviluppo avanzato, cos’altro rappresentano se non il fallimento dei sistemi di organizzazione e protezione sociale? Se poi l’impoverimento non è equamente distribuito ma coincide con un aumento delle disuguaglianze, un allargamento della forbice tra chi possiede di più e chi di meno, tra “forti” e “deboli”, allora bisogna interrogarsi sul tipo di alleanza, di contratto che stanno oggi alla base delle nostre società. E la risposta più evidente non ci piace, perché non va nel senso della solidarietà e del “bene comune” ma verso il “si salvi chi può”.
Le “fatiche” dell’Italia sono note a tutti: risiedono nel familismo amorale che fa prevalere la relazione sulla competenza, il localismo regressivo che si illude che si possa fare a meno del resto del mondo, gli addentellati mafiosi che non riconoscono il valore dell’istituzione e una certa resistenza al cambiamento e all’innovazione. Ma nonostante ciò l’Italia continua a manifestare una straordinaria vitalità nell’impresa, nelle famiglie, nell’associazionismo, nei territori. Queste sono tutte le legature che tengono l’Italia unita, sono valori e pratiche da preservare e da proteggere perché non si logorino.
Sarebbe opportuno allora che i sistemi di Welfare e di protezione sociale fossero ripensati non per esigenze di cassa ma per la loro inefficacia, non solo per la loro scarsa sostenibilità economica ma soprattutto per la loro insostenibilità sociale.
Torniamo a mettere al centro i bisogni delle persone e delle famiglie, ridefiniamo i livelli essenziali delle prestazioni sociali, realizziamo uno strumento universalistico di sostegno al reddito delle famiglie povere, rimoduliamo gli emolumenti economici superando l’approccio categoriale, ridefiniamo le responsabilità istituzionali e costruiamo una sussidiarietà circolare. Queste sono le richieste che ha presentato Caritas Italiana alla Commissione Affari Sociali della Camera: il problema della povertà non può essere ridotto alla questione della “carta acquisti”.
Gli ultimi eventi rinnovino la speranza che spazi per costruire il nuovo sono ancora presenti. Occorre rimettere in pista il «pensiero pensante», come ci ha detto Stefano Zamagni nell’intervista pubblicata sul n. 5 di “puntidivista”.
Per fare questo occorre, con una certa prontezza e rapidità, pulire le lenti, sturare le orecchie e rimboccarsi le maniche. Su questo, i giovani avrebbero qualcosa da insegnarci

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