Europa: errori e ritardi nella lotta alla povertà

scritto da Redazione il 15 December 2011 in 6 - L'ombra della povertà and Approfondimenti con commenta

Nonostante i buoni propositi espressi durante l’Anno europeo 2010 di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, il problema persiste in Europa e si estende con il prolungarsi della crisi economico-sociale  in corso. Le statistiche europee più recenti (Eurostat) stimano almeno 81 milioni di persone a rischio di povertà, circa 42 milioni in condizioni di seria deprivazione materiale e 34 milioni che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (dove cioè il lavoro degli adulti è inferiore al 20% del loro potenziale). Complessivamente, si stimano circa 116 milioni di persone (quasi un quarto dell’intera popolazione dell’Unione Europea) colpite da almeno una di queste tre forme di esclusione sociale. Ma le dimensioni reali del problema sono probabilmente molto più ampie, alla luce di due semplici considerazioni: le statistiche ufficiali mostrano solo le situazioni di povertà ed esclusione sociale dichiarate, registrate, mentre è nota la forte espansione della povertà occulta, sommersa; va poi ricordato che le stime riguardano la povertà e l’esclusione sociale dopo i trasferimenti sociali, senza i quali il numero di persone povere e socialmente escluse sarebbe di gran lunga maggiore. Quando, nelle politiche di riforma a livello europeo e nazionale, si prospettano tagli al Welfare e alla spesa sociale si dovrebbero quindi valutare bene i rischi e le conseguenze sociali, difficilmente sostenibili.

Politiche inadeguate
Il 2011 segna il primo anno operativo della nuova strategia Europa 2020, con la quale l’Unione Europea si è impegnata a perseguire una crescita economica e sociale sostenibile fissando, tra i vari obiettivi, per la prima volta quello di ridurre sensibilmente la povertà: almeno 20 milioni di poveri in meno entro il 2020. Una strategia avviata però in un contesto problematico di profonda crisi, con i governi europei concentrati sulle questioni economico-finanziarie per il salvataggio dell’euro attraverso riduzioni del disavanzo che prevedono forti tagli alle spese sociali.
Che possibilità ha quindi questo tipo di approccio di conseguire gli impegni di riduzione della povertà e promuovere la coesione sociale? Questa la domanda a cui ha cercato di rispondere l’European Anti- Poverty Network (EAPN, Rete europea contro la povertà costituita da 30 gruppi di organizzazioni indipendenti in altrettanti Paesi e da 23 organizzazioni europee, tra le quali Caritas Europa) che tra maggio e settembre 2011 ha svolto un’indagine con i suoi membri nazionali ed europei su questo primo anno della strategia, valutando specificamente i Programmi nazionali di riforme varati dai vari Paesi dell’UE.
Sono state analizzate le misure macroeconomiche, quelle per l’occupazione, l’istruzione, la formazione e l’inclusione sociale, nonché il ruolo svolto dai meccanismi di governance e dai Fondi strutturali europei. Emerge un quadro fortemente negativo, segnato da profonda delusione, sensazione di inganno e rabbia diffusa rispetto all’approccio generalmente adottato sia a livello comunitario che nazionale. I membri della Rete europea evidenziano le carenze nella definizione di obiettivi contro la povertà, mentre le risposte politiche per garantire una crescita inclusiva sembrano essere nel migliore dei casi inadeguate e nel peggiore dei casi colpevoli di generare addirittura un aumento della povertà e dell’esclusione sociale, nonché in molti casi un attacco ai diritti umani.
In generale, sottolinea l’indagine svolta dal network europeo, si è avuta la netta sensazione che l’UE non stesse lavorando nell’interesse delle persone povere e a rischio di povertà, cosa che ha demotivato i soggetti e le organizzazioni della società civile allontanandoli da un impegno efficace nella collaborazione con istituzioni per la definizione e l’adozione dei Programmi nazionali. Le implicazioni di questo rifiuto, osserva l’European Anti-Poverty Network, possono avere gravi conseguenze per il futuro dell’UE, perché «se l’Europa non ha cuore, perché la gente dovrebbe tornare ad avere a cuore l’Europa?».

Conseguenze delle politiche economiche
La maggior parte delle organizzazioni appartenenti alla Rete europea anti-povertà (soprattutto in Bulgaria, Danimarca, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e in parte Estonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna) ha sottolineato che le politiche macro-economiche proposte dai governi difficilmente  potranno contribuire alla crescita inclusiva e alla riduzione della povertà e dell’esclusione sociale, mentre è piuttosto probabile che generino un aumento della povertà. Solo un piccolo numero di membri (Austria, Belgio, Lituania e Malta) considera i Programmi nazionali in grado di contribuire in qualche modo ad una crescita inclusiva. In generale si è osservato come la crescita inclusiva non sia una  priorità delle politiche, concentrate invece unicamente su questioni relative a deficit di bilancio, Patto euro-plus, aggiornamento del Patto di stabilità, salvataggio economico-fnanziario di Paesi a rischio di fallimento e relativi programmi concordati con l’UE e il Fondo Monetario Internazionale.
Di conseguenza, i riferimenti a una crescita inclusiva sono quasi completamente assenti, segnando così un fallimento dell’impegno di integrare gli obiettivi sociali e di utilizzare le politiche macro-economiche per contribuire alla riduzione della povertà e dell’esclusione sociale. Non solo, secondo molti tali politiche potrebbero contribuire ad aumentare la povertà, sia perché un minor numero di persone sarà nelle condizioni di uscire da situazioni di povertà sia perché l’impatto delle misure di austerità e i conseguenti tagli alla spesa sociale provocheranno un incremento del rischio di povertà.
La maggior parte dei tagli di spesa sembrano infatti essere principalmente destinati ai servizi sociali, al sostegno del reddito e benefici correlati, ed in alcuni casi addirittura alle politiche attive del mercato del lavoro, con un inevitabile impatto negativo sull’accesso al mondo del lavoro e quindi sulla prevenzione e la riduzione della povertà. Alcuni membri nazionali dell’EAPN segnalano una prospettiva di «tagli selvaggi» alle prestazioni e ai servizi senza l’opportuna attenzione alle conseguenze di tali misure,  mentre altri membri evidenziano l’esistenza di tagli meno espliciti ma piuttosto «nascosti», ad esempio limitando l’accesso all’assistenza sociale o non indicizzando le soglie di ammissibilità al reddito: in entrambi i casi, però, l’EAPN osserva chiaramente come il risultato probabile sia un aumento della povertà e dell’esclusione sociale.
Così come destano preoccupazione i deboli investimenti in eque e sostenibili riforme delle pensioni, perché i governi mirano soprattutto ad aumentare l’età pensionabile ed abbassare i contributi, ma sono evidenti i rischi di innalzamento dell’età pensionabile in particolare per i redditi più bassi o per i posti di lavoro poco qualificati, mentre l’abbassamento dei contributi avrà un impatto negativo sulle pensioni future.

Aumento delle disuguaglianze
I membri dell’EAPN hanno poi valutato in che misura gli Stati membri stanno contemplando una condivisione più equa delle ricadute della crisi. Secondo la Rete europea il problema della povertà non può essere affrontato senza ridurre le disuguaglianze, che rappresentano il principale ostacolo allo sviluppo sostenibile e alla crescita inclusiva. Basso o molto basso è considerato dall’EAPN il livello di politiche che promuovono una maggiore uguaglianza, per questo si prevedono aumenti delle disuguaglianze.
Quasi ovunque (Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Regno Unito e Repubblica Ceca) i membri della Rete europea anti-povertà hanno segnalato come non sia data priorità a una condivisione più equa delle misure di riduzione del deficit attraverso un aumento del gettito fiscale più equo e una più equa distribuzione dei livelli salariali e di reddito, al fine di ridurre le disuguaglianze reddito e di ricchezza.
Sistemi fiscali più equi sono considerati dall’EAPN come base essenziale per ridurre le disuguaglianze progredire verso una crescita inclusiva. Preoccupano invece le misure adottate perché generalmente basate sul sacrificio della spesa sociale. La spesa sociale, sottolineano membri della Rete europea, non deve essere vista come un costo ma invece come uno strumento essenziale per raggiungere una crescita sostenibile e inclusiva. La chiave dovrebbe essere investire su un reddito minimo adeguato, in grado fornire un piano di consumi e un trampolino di lancio per l’inclusione.

Scarso impegno dei governi europei
Il Consiglio Europeo e la Commissione Europea, attraverso la valutazione dei Programmi nazionali di riforme, hanno evidenziato il mancato rispetto da parte degli Stati membri nel fissare obiettivi di riduzione della povertà sufficienti  a soddisfare l’obiettivo globale dell’UE. La Commissione osservato che non è nemmeno possibile produrre un dato comparativo a livello europeo per sapere «quanto vicino» siano gli obiettivi nazionali all’obiettivo generale, questo a causa delle differenze esistenti nelle metodologie nazionali. L’obiettivo povertà, infatti, è basato su una complessa combinazione di tre indicatori diversi (rischio di povertà, privazione materiale grave e bassa intensità di lavoro) e gli Stati membri sono stati lasciati liberi di scegliere il loro indicatore di povertà (tutti e tre, uno dei tre, o in alcuni casi i loro indicatori nazionali).
Questa situazione ha però compromesso la possibilità di ottenere robusti dati comparativi necessari per definire e raggiungere un obiettivo credibile. membri dell’EAPN chiedono che l’obiettivo antipovertà sia almeno trattato come gli altri obiettivi dell’Unione Europea.
In ogni caso, l’obiettivo fissato dalla maggior parte degli Stati dell’UE è visto dai membri dell’EAPN come troppo basso e inferiore alla loro quota proporzionale per raggiungere l’obiettivo comunitario, in rapporto alla popolazione attuale a rischio di povertà, per questo esprimono delusione per la mancanza di ambizione degli obiettivi denunciando la scarsa serietà dei governi nell’impegno per ridurre la povertà.
In generale, conclude la Rete europea contro la povertà, «l’impatto delle misure di austerità sulle prestazioni sociali e sui servizi, l’incapacità di ridurre il deficit con altri mezzi, compresa una fiscalità più equa, significa che i poveri stanno pagando un onere eccessivo per una crisi che non hanno causato, mentre la disuguaglianza crescente mette a rischio la coesione sociale e una risposta sostenibile alla crisi. Tutto ciò sta minando  la credibilità e il futuro dell’Unione Europa».

Fonte: “Deliver Inclusive Growth – Put the heart back in Europe! Eapn analysis of the 2011 National Reform Programmes Europe 2020”, 12 ottobre 2011 www.eapn.eu (Questo testo è stato redatto in collaborazione con “euronote”, rivista di informazione sociale europea)

 

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