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Europa: il diritto a un reddito minimo

Posted By Enrico Panero On 23/01/2014 @ 14:05 In 11 - Miraggio reddito minimo,Approfondimenti | No Comments

[1]Ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione Europea hadiritto alle prestazioni di sicurezza socialee ai benefici sociali (…). Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenzaabitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti,secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali». È l’articolo 34 dellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (UE), che nel 2000 ha sancito il diritto alla protezionesociale e a standard di vita dignitosi per tutti i cittadini che risiedono nei Paesi dell’UE. Qualche anno prima,nel 1992, era stato il Consiglio dell’allora Comunità Europea a raccomandare ai Paesi membri «criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale», affermando il diritto aricevere i sostegni necessari per vivere conformemente alla dignità umana e invitando i governi ad adeguarei propri sistemi di Welfare. In quella raccomandazione si evidenziava l’esigenza di una redistribuzione delreddito e si indicavano esplicitamente gli «schemi di reddito minimo garantito» quali strumenti per la sicurezza e il reinserimento sociale delle persone povere e in difficoltà. A conferma di questo approccio che considera un diritto l’inclusione sociale, il 2010 è stato dichiarato dall’UE Anno europeo di lotta alla povertàe all’esclusione sociale, così da ribadire e riaffermare l’impegno politico europeo per lo sviluppo economicoe sociale. Con l’Anno europeo 2010 fu avviata una riflessione sulle politiche di contrasto alla povertà eall’esclusione sociale, basate su alcuni principi e obiettivi-chiave: riconoscere il diritto fondamentale dellepersone in condizioni di povertà e di esclusione sociale a vivere dignitosamente; sottolineare la responsabilità individuale e collettiva, di soggetti pubblici e privati, nella creazione di una società più coesa; promuovere azioni ai diversi livelli di governo, mobilitando tutte le parti interessate. Nell’ambito di questo approccio europeo, il Parlamento e la Commissione hanno più volte sollecitato politiche di «inclusione attiva», individuando nel reddito minimo uno strumento efficace per combattere la povertà, garantire un adeguato standard di vita e favorire l’inclusione sociale.

La realtà evidenzia però una situazione europea dove la povertà non solo non è diminuita ma addiritturaaumentata dal 2010 ad oggi (vedi pag. 5), a dimostrazione della complessità, della grande eterogeneitàe della scarsa efficacia dei vari sistemi di protezione sociale nell’UE, soprattutto in tempo di crisi e di politiche di austerità. Per quanto riguarda ad esempio l’efficacia degli schemi di reddito minimo, di ultimaistanza, i problemi derivano dal fatto che alcuni Paesi non prevedono ancora tale strumento (Italia eGrecia), mentre per gli altri le differenze tra le varie misure adottate sono tali che in certi casi diventanoaddirittura divergenze (sulle caratteristiche, i destinatari, la durata ecc.), così da determinare una cittadinanzasociale diseguale nel territorio dell’UE. Per questo, urge l’individuazione e la definizione di criteri e modalità comuni in materia di politiche per la protezione sociale e di strumenti quali il redditominimo.

Molte definizioni, serve chiarezza

Innanzitutto occorrerebbe fare chiarezza terminologica e concettuale rispetto a tale misura, come spiegano Rosangela Lodigiani ed Egidio Riva (Università Cattolica di Milano), autori di uno studio in materia per la Caritas Lombardia: «È necessaria una scelta di campo rispetto ai valori a cui si riferiscono il reddito minimo e altri schemi più o meno attigui: universalismo, selettività, condizionalità. La prima scelta di campo riguarda l’alternativa tra il reddito minimo e il reddito di base. Il secondo (basic income) detto anche “reddito di cittadinanza” o “reddito universale” è una misura universalistica,cioè erogata individualmente a tutta la popolazione appartenente a una determinata comunità politica, in modo totalmente incondizionato rispetto allivello di ricchezza o alla posizione occupazionale. Il reddito minimo, invece, generalmente definito“reddito minimo di inserimento” o “reddito di ultima istanza” è una misura di universalismo selettivo:cioè la misura è universale rispetto ai beneficiari (non vincolata ad alcuna variabile categoriale), maselettiva nell’erogazione delle prestazioni e dunque rivolta, previa verifica dei mezzi, ai soli soggetti ineffettiva condizione di povertà».

Altra scelta di campo riguarda poi la condizionalità della misura, cioè l’essere attivi nel mercato del lavoro e nella società per poterne usufruire, in un’ottica di “inclusione attiva”. Aspetto importante ma chepuò essere rischioso, come spiegano gli autori dello studio basato su una comparazione a livello europeo: «Se per un verso ciò rimanda a una visione del redditominimo come diritto soggettivo incontestabile più che come “contratto di cittadinanza” (una derivatemuta da più parti), per altro verso è vero che si registra la tendenza a introdurre e a inasprire ove giàpresente il grado di condizionalità, cosicché ciò che dovrebbe favorire la partecipazione attiva al mercatodel lavoro diviene un obbligo che può deprimere le possibilità di scelta individuale. In altri termini, il rischioè di assumere come prerequisito (l’essere attivi) ciò che dovrebbe invece costituire l’esito di politichedi protezione attivante».

Misure diverse, non sempre efficaci

Tranne Italia e Grecia, tutti i Paesi dell’Unione Europea hanno inserito nei loro sistemi di protezionesociale schemi di reddito minimo ispirati al principio dell’universalismo selettivo. Si tratta di trasferimentimonetari, non contributivi o categoriali, rivolti a tutti i cittadini poveri previa verifica delle condizionieconomiche, per assicurare loro standard minimi di vita dignitosa come affermano gli orientamenti europei.Di fatto, però, vari studi mostrano come le somme erogate siano spesso così basse da essere lontanedalla soglia della povertà, incidendo negativamente sull’efficacia del dispositivo se non accompagnate daservizi e altre forme di tutela.

Va osservato che in tutti i Paesi dove esistono schemi di reddito minimo, questi ricoprono un ruolo residuale nel contrastare la povertà poiché il maggior sostegno al reddito dei cittadini proviene da altre prestazioni di Welfare, differenti a secondo dei casi, che intercettano i potenziali beneficiari prima che si rivolgano all’assistenza sociale.

In generale, poi, i vari schemi di reddito minimo sono estremamente diversificati tra loro, causa fattori quali l’“anzianità” della misura (l’epoca in cui è stataistituita), i criteri di accesso (requisiti e controprestazioni), la durata e la generosità del sussidio erogato,l’integrazione con altri dispositivi di protezione, le caratteristiche del modello di Welfare in cui la misuraè inserita. Lo stesso principio dell’universalismo selettivo è spesso applicato in modo “imperfetto” ein molti Paesi si integra con vincoli di accesso che privilegiano alcuni gruppi sociali (ad esempio in baseall’età e alla nazionalità), introducendo di fatto meccanismi di tipo categoriale.

Al di là delle differenze, gli schemi di reddito mini contrastare la povertà e garantire percorsi d’integrazionesociale, scolastica, lavorativa e formativa; non sono rivolti primariamente a coloro che hanno persoil lavoro, anche se tra i beneficiari possono rientrare tali soggetti, in particolare i disoccupati di lunga durata.Tali schemi comportano un insieme di diritti e doveri e sono soggetti a regole di condizionalità. Ingenere, oltre al trasferimento monetario, le misure prevedono percorsi di attivazione sociale e lavorativa,finalizzati ad alleviare le situazioni di povertà sia migliorando le condizioni di vita sia agendo sui comportamenti che le hanno provocate.

Pur con modalità diverse, negli ultimi anni tutti i Paesieuropei hanno cercato di attivare un maggior coordinamento tra i numerosi attori e livelli di governocoinvolti nella governance delle misure di reddito minimo. Quel che manca è una maggior omogeneità trai vari schemi nazionali nonché un confronto costante sull’efficacia o meno delle misure attuate: anche perquesto è stata istituita un’apposita Rete europea per il reddito minimo, che mette insieme amministrazioninazionali, regionali e locali, organizzazioni sociali e sindacali, esperti e studiosi per l’apprendimento reciproco e lo scambio delle migliori pratiche in materia di reddito minimo (vedi box a pag. 5). Anche perché,come sottolineano gli autori dello studio sul reddito minimo in Europa, «la comparazione internazionale mostra come si tratti di una materia in cui non esistono soluzioni standard, valide sempre e per ogni contesto, e quanto essa sia densa di scelte normative e valorialiche chiamano in causa le opzioni fondamentalidel Welfare in merito alle sue finalità». (a cura di E.P.)

Nota: I materiali utilizzati per questa pagina e la precedente sono tratti da un volume realizzato nel 2011su iniziativa di Caritas Lombardia, nell’ambito del progetto “Riduciamo la povertà”: R. Lodigiani – E.Riva, Reddito di autonomia. Contrastare la povertà in una prospettiva di sussidiarietà attivante, EdizioniErickson

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