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Fame e povertà: il punto

Posted By Enrico Panero On 31/12/2015 @ 18:59 In 20 - Dalle parole ai fatti,Approfondimenti | No Comments

Iterra-mela [1]l cibo è un diritto umano fondamentale non garantito per milioni di persone. Gli sforzi per risolvere il problema della fame nel mondo devono basarsi sulla volontà di aggiustare strutture economiche e sociali ingiuste. L’enciclica di Papa Francesco ci invita a cambiare il modello; la Carta di Milano no, perché non sembra affrontare il ruolo fondamentale che la mancanza di giustizia svolge nel mantenere viva in molti Paesi la fame. Riflette le vedute di Paesi ricchi piuttosto che rappresentare i poveri del mondo».

Con queste parole il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy, ha commentato i contenuti della Carta di Milano, documento sottoscritto da oltre un milione di soggetti nell’ambito di Expo Milano 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e consegnato al segretario generale dell’ONU Ban KI-moon in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il 16 novembre. La Carta, hanno spiegato i suoi promotori, intende rappresentare l’eredità culturale di Expo Milano 2015: «Un documento partecipato e condiviso, fortemente voluto dal Governo italiano, che richiama ogni cittadino, associazione, impresa o istituzione nazionale e internazionale ad assumersi le proprie responsabilità per garantire alle generazioni future di poter godere del diritto al cibo».

Secondo Caritas, tuttavia, il documento manca di mordente e offre un approccio limitato per la risoluzione della fame nel mondo. Caritas sostiene che la Carta sarebbe stato un documento più efficace nel mobilitare il mondo contro la fame se avesse incluso un appello a mettere a fuoco i problemi che riguardano direttamente le persone che soffrono la fame, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Nel testo mancano infatti questioni come la speculazione finanziaria, l’accaparramento delle terre, la diffusione degli Ogm e la perdita di biodiversità.

«La Carta di Milano, riconoscendo il diritto al cibo come diritto fondamentale, ha avuto senza dubbio il merito di aver posto all’attenzione del dibattito pubblico il tema vero di Expo Milano 2015, la lotta alla fame. Si tratta però di un documento ancora insufficiente. Benché siamo stati chiamati a partecipare alla sua stesura, dobbiamo constatare che il risultato non ha tenuto conto dei nostri suggerimenti, probabilmente per salvaguardare certi equilibri» ha osservato il vicedirettore di Caritas Ambrosiana e vicecommissario del Padiglione della Santa Sede, Luciano Gualzetti, secondo cui come strumento di lotta alla fame la Carta costituisce solo «un punto di partenza».

Un punto di partenza, ma non basta

Alle critiche espresse da Caritas si sono aggiunte quelle di altri organismi e organizzazioni internazionali.

Secondo Oxfam Italia ad esempio, membro del network internazionale di 17 Ong distribuite in altrettanti Paesi, la Carta di Milano «è lacunosa su cinque temi: politiche per l’agricoltura contadina, stop alla speculazione finanziaria su materie prime come il cibo, tolleranza zero su landgrabbing, riduzione della Co2 e consumo di suolo agricolo». Considerando la Carta di Milano «un documento di principio che, per diventare veramente significativo, deve essere accompagnato da una serie di impegni concreti sul piano locale e internazionale», Oxfam ha lanciato una petizione indirizzata al governo italiano affinché prenda impegni concreti per la riduzione della povertà sia in Italia che nel mondo e, insieme ad Action Aid e Slow Food, ha inviato una lettera aperta al governo italiano per chiedere di adottare impegni concreti nei cinque ambiti prioritari suddetti.

«Abbiamo partecipato ai lavori preparatori della Carta, ma abbiamo deciso di non firmarla perché non tocca alcuni nodi: la proprietà dei semi, l’acqua come bene comune, i cambiamenti climatici. E poi non prevede impegni concreti per i governi e le multinazionali» ha invece dichiarato il presidente di Slow Food  Italia, Gaetano Pascale, secondo il quale la Carta contiene delle buone intenzioni, sulle quali è facile essere tutti d’accordo: «La Carta di Milano è purtroppo generica. Certo è un primo passo, ma secondo noi non basta. È il frutto di una mediazione, tra i firmatari ci sono anche alcune multinazionali e capisco che il governo italiano non abbia potuto osare di più. Il nostro compito invece è quello di spingere più avanti il dibattito e proporre modelli alternativi».

Alcune osservazioni alla Carta

Un documento dettagliato di integrazione alla Carta di Milano è stato poi redatto nei mesi scorsi da un gruppo di lavoro coordinato dal mensile del terzo settore “Vita” e di cui ha fatto parte anche la Campagna “Sulla fame non si specula”, un’iniziativa nata nel 2011 a Milano da un gruppo di giornalisti, economisti e rappresentanti della società civile che ha aggregato importanti sigle del non profit, enti locali e singoli cittadini.

Secondo il documento sono molti e rilevanti i temi che non sono affrontati dalla Carta di Milano: la speculazione finanziaria sui beni alimentari, il land grabbing, gli OGM, la concorrenza fra produzione di biocarburanti e alimentazione umana. Alla base del dilemma etico che riguarda il cosiddetto “diritto al cibo”, si legge nel documento, c’è essenzialmente il confitto tra due antropologie, quella tra stili di vita e modi di vita: «L’antropologia degli stili di vita, a cui sembra ispirarsi la Carta di Milano, si fa carico solo del primo corno del dilemma, evitando però il confronto con una complessità che semplicemente ritiene di non dover affrontare (…). Un’antropologia dei modi di vita si fa, invece, carico della complessità per affrontarne il dilemma». In pratica, sostengono gli autori del documento, lo stile di vita non chiede altro che adesione individuale, mentre un modo di vita pur preservando la singolarità «insiste e manifesta uno spirito connettivo, un “interessere”, e chiede al soggetto una partecipazione aperta a qualcosa di ben più esplicito e profondo: qualcosa che possiamo chiamare un senso (e forse anche un bene) comune». Citando l’enciclica Laudato sì, il documento sottolinea che «cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale». In un capitolo dedicato alle Food policy il documento affronta quindi con un’analisi laica e una serie di proposte i temi che la Carta di Milano non ha avuto il coraggio di affrontare, «forse comprensibilmente per mantenersi in equilibrio tra le spinte diverse di Stati e portatori di interesse».

Carta alla ricerca della massima condivisione

«La Carta è la piattaforma a partire dalla quale potranno generarsi effetti che si aggiungeranno agli effetti che già si sono generati, nel dibattito e, spero, nella consapevolezza, anche critica, rispetto alla questione del “diritto al cibo”, che non ha un prima e un dopo-Expo, ha un’urgenza che ci chiama a responsabilità e, quindi, a risposte». Così Salvatore Veca, filosofo e professore all’Università di Pavia, incaricato di coordinare i lavori per la Carta di Milano, ha spiegato in un’intervista al mensile “Vita” il senso della Carta e il motivo dei suoi limiti.

«Abbiamo usato proposizioni che potessero essere condivise da persone che hanno idee diverse su altre faccende. Bisognava arrivare a dei punti che ognuno può interpretare in modo diverso. Ciò che dovevamo raggiungere e in gran parte abbiamo raggiunto era però l’obiettivo di far condividere alcune tematiche. La Carta è quello che è, è una Carta, niente di meno, niente di più. Ma è a partire da questa assunzione comune che alcuni processi possono partire. Se avessimo adottato il procedimento inverso, avremmo ottenuto il risultato di allontanare, anziché coagulare persone diverse con idee diverse attorno a quei punti. Il confronto delle idee – questo è lo scopo della Carta – genera effetti. Divergenze, critiche, puntualizzazioni… Sono, appunto, effetti». Secondo Veca, la Carta di Milano è un documento di cittadinanza globale: «È un documento che chiede a chiunque si trovi nel pianeta, che nel bene e nel male condividiamo, di fermarsi un attimo, leggere e riflettere. Le motivazioni dell’adesione possono essere le più diverse. In questo senso, il gruppo che ha lavorato alla Carta di Milano ha voluto che il risultato di quel lavoro fosse il più chiaro e comprensibile, perché raggiungesse il maggior numero di persone possibili. Non ci sono riferimenti o indicazioni su priorità, su quantificazione, di policies. Non ci sono, perché deve essere una carta leggibile da tutti e non volevamo sovraccaricarla. Non dobbiamo chiedere a una Carta ciò che una Carta non può darci. La Carta è un documento di cittadinanza globale che deve tentare il massimo di condivisione possibile».


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