In Europa cresce la povertà
La riduzione del numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell’Unione Europea (UE) è uno degli obiettivi principali della strategia Europa 2020. I dati forniti da Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE, nel dicembre scorso delineano però un quadro ben diverso: nel 2012 quasi 125 milioni di persone nell’UE, ovvero circa un quarto della popolazione (24,8%), erano a rischio di povertà o di esclusione sociale, con un aumento rispetto al 24,3% del 2011 e al 23,7% del 2008. Ciò significa che quasi una persona su quattro residente nei 28 Paesi dell’UE vive almeno una delle seguenti tre condizioni: il rischio di povertà (reddito inferiore al 60% del reddito medio nazionale), una grave deprivazione materiale (carenza di risorse per soddisfare esigenze basilari delle vita quotidiana) o vive in una famiglia a bassissima intensità lavorativa (dove gli adulti lavorano meno del 20% del loro potenziale lavorativo). Le differenze sono naturalmente rilevanti tra i vari Stati membri, così si va dalle quote più elevate di persone a rischio di povertà o esclusione sociale rilevate in Bulgaria (49%), Romania (42%), Lettonia (37%) e Grecia (35%), alle più basse che riguardano invece Paesi Bassi e Repubblica Ceca (entrambi 15%), Finlandia (17%), Svezia e Lussemburgo (entrambi 18%). Complessivamente si osserva però una situazione assai preoccupante perché, nonostante le intenzioni e gli interventi messi in atto negli ultimi anni, il disagio socio-economico in Europa non solo non diminuisce ma addirittura cresce.
Le dimensioni della povertà nell’UE
Osservando ciascuno dei tre elementi che contribuiscono a definire il rischio di povertà o di esclusione sociale, nel 2012 era a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali il 17% della popolazione dell’EU, con i tassi più alti registrati in Grecia e Romania (entrambi 23%), Spagna (22 %), Bulgaria e Croazia (entrambi 21%), mentre i più bassi si sono osservati in Repubblica Ceca e Paesi Bassi (entrambi 10%), Danimarca, Slovacchia e Finlandia (tutti al 13%). Va ricordato che il rischio di povertà è una misura relativa della povertà e che la soglia di povertà varia notevolmente tra gli Stati membri; tra l’altro varia anche nel tempo e in un certo numero di Stati membri è scesa negli ultimi anni a causa della crisi economica.
Nello stesso anno di rilevazione era invece gravemente deprivato materialmente il 10% della popolazione dell’UE, cioè in condizioni di vita vincolate dalla mancanza di risorse necessarie per pagare le bollette, mantenere un’abitazione adeguatamente riscaldata, fare una settimana di vacanza lontano da casa. Anche la deprivazione materiale varia notevolmente tra gli Stati membri, passando da quote di popolazione inferiori al 5% in Lussemburgo e Svezia (entrambi 1%), Paesi Bassi (2%), Danimarca e Finlandia (entrambi 3%) e in Austria (4%) a percentuali elevatissime quali il 44% in Bulgaria, il 30% in Romania e il 26% in Lettonia e Ungheria.
Per quanto concerne poi la bassa intensità di lavoro, mediamente il 10% della popolazione con meno di 60 anni nei 28 Stati membri viveva nel 2012 in famiglie dove gli adulti hanno lavorato meno del 20% del loro potenziale lavorativo, con punte massime rilevate in Croazia (16%), Spagna, Grecia e Belgio (tutti al 14%) e minime a Lussemburgo e Cipro (entrambi 6%).
Lotta alla povertà: fallimento europeo
Ala fine del settembre scorso la Rete europea contro la povertà (European Anti-Poverty Network – Eapn), il più grande network europeo di reti regionali e locali che raggruppano le Ong e i gruppi di base che lavorano nel contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, ha pubblicato un Rapporto di valutazione dei Programmi nazionali di riforma 2013, da cui emerge un generale ampliamento degli squilibri sociali nei Paesi dell’UE. Basato sulle informazioni provenienti dalle organizzazioni nazionali che costituiscono l’Eapn, il Rapporto evidenzia come l’Unione Europea sia ancora lontana dalla realizzazione delle sue promesse sull’Europa sociale, in particolare sulla povertà che è aumentata di 4 milioni dal 2011 mentre l’obiettivo dell’UE è di ridurla di 20 milioni entro il 2020. Secondo l’Eapn, l’impatto sociale della crisi è aggravato dalle misure di austerità, con disoccupazione, povertà di ignorare. I tassi di povertà e le disuguaglianze sono aumentati quando invece avrebbero dovuto diminuire. C’è bisogno di cambiamento, con una vera leadership politica e politiche sociali ed economiche coerenti, che diano la priorità agli esseri umani piuttosto che a questa camicia di forza economica neoliberista che sta allargando il divario tra ricchi e poveri, Nord e Sud. L’Unione europea rischia di pagarne il prezzo alle prossime elezioni europee» ha dichiarato Sergio Aires, attuale presidente dell’Eapn, aggiungendo
che «la continua mancanza di impegno per la vitale partecipazione dei cittadini interessati alla realizzazione dei Piani nazionali di riforma solleva seri interrogativi sulla democraticità del processo del cosiddetto “semestre”». Il 2013, osserva il Rapporto della Rete europea, ha visto un peggioramento dell’impatto sociale della crisi anche per le misure di austerità attuate, che si riflette in un aumento dei livelli di disoccupazione e di povertà in Europa, con la disoccupazione giovanile al 23,7% e la povertà che colpisce circa 120 milioni di persone: così l’obiettivo della strategia Europa 2020 di ridurre la povertà di almeno 20 milioni è irraggiungibile e così anche gli obiettivi nazionali fissati dagli Stati membri per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo europeo. «I membri dell’Eapn hanno cercato di avviare un dialogo costruttivo con i governi nazionali, come parte di questo processo di strategia 2020, credendo che sarebbero stati accolti come partner alla pari, ma questo non è accaduto. Così il processo rischia di essere abbandonato dalle parti interessate come un “guscio vuoto”, che volta le spalle a quelle stesse persone che dovrebbe rappresentare» ha osservato Barbara Helf- ferich, direttrice della Rete europea anti-povetà.
La linea politica per il semestre europeo continua ad essere basata sull’analisi della crescita annuale (Annual Growth Survey – Ags) svolta dalla Commissione Europea, che nel 2013 non si è concentrata sul grave fallimento degli obiettivi sociali ma invece ha sottolineato la necessità di una continuità piuttosto che un cambiamento, sostenendo sempre le stesse priorità tra cui il risanamento di bilancio e, in campo sociale, affrontare la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi.
Secondo l’Eapn, la decisione dell’UE di non predisporre la Relazione annuale di avanzamento e monitoraggio degli obiettivi di Europa 2020 costituisce una «grave battuta d’arresto, che mina la visibilità e la credibilità degli obiettivi di Europa 2020».(E.P)
Per saperne di più, visita il sito dell’Eapn