In legame “con” e “contro” la povertà

scritto da Giovanni Perini il 30 January 2015 in 13 - Allearsi contro la povertà and Opinioni e commenti con commenta

homelessAscoltare: lasciarsi interpellare dalle storie di povertà

Da bambini ci si lasciava commuovere leggendo storie di povertà (per lo più romantiche e ideali), tipo “Cuore” o fiabe come “Cenerentola”, dove alcuni personaggi soffrivano abbandono o marginalizzazione a causa della loro situazione economica e/o sociale. Oggi le storie di povertà che ascoltiamo giornalmente nei Centri di ascolto, ma sovente anche per strada quando la gente ci ferma riconoscendoci come operatori Caritas, sono più che reali. Sono storie di chi ha perso il lavoro contemporaneamente con l’altro coniuge, di chi arriva con il foglio dello sfratto esecutivo, casi moltiplicati in questi ultimi anni in modo innaturale; senza contare i tanti che carichi di debiti per affitti e utenze non pagati, tasse in arretrato, prestiti raffazzonati o peggio chiesti a usurai, sono ormai alla disperazione e non vedono vie di uscita. Ci troviamo davanti ad una povertà che l’Istat definisce assoluta e che riguarda il 9,9% della popolazione italiana. La povertà assoluta è quella che non solo non permette di soddisfare le necessità primarie della vita, ma che ha delle ripercussioni, a volte molto gravi, sul nucleo familiare, sulla salute, sulle relazioni, sulla caduta della stima di sé, sentendosi ormai incapaci di provvedere a se stessi e ai propri cari. L’ampia quantità di queste situazioni (che riguarda anche il 12,6% in condizioni di povertà relativa) non può più essere affrontata con mezzi ordinari di contrasto alla povertà: non bastano più pacchi viveri, ridotti aiuti economici, perché non c’è più modo ordinario di far fronte a situazioni straordinarie!

Una frase del Papa, nella sua esortazione, mi ha colpito profondamente, pur non essendo una novità almeno dopo il Concilio: «Il Kerigma (cioè l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo) possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità» (177).

Questa affermazione ci conduce a un approfondito esame sulla qualità e le forme di manifestazione della nostra fede, alla domanda sulla partecipazione attiva alla fraternità di comunione vicendevole, alla presenza e alla cura dei poveri nelle nostre comunità (che Papa Francesco chiama gli “scarti” della nostra società) e di quanto continuiamo a delegare ad altri il compito e la testimonianza centrale della carità.

Questa situazione di povertà assoluta, che tocca molte persone e famiglie, mette però anche in luce la debolezza del nostro impegno e della nostra presenza nell’ambito della cittadinanza attiva e della politica, che già Aristotele, senza scomodare la Bibbia, indicava come l’arte del bene comune, cioè la garanzia per tutti i cittadini (quelli allora riconosciuti tali) di trovare nello Stato un’azione e delle leggi che davano certezza dei diritti.

 

Osservare per prendere coscienza

L’Italia e la Grecia sono gli unici Stati dell’Unione Europea in cui non si è attivato un aiuto continuativo per le persone in povertà assoluta. Negli altri Stati questo aiuto si chiama con molti nomi. Anche in Italia da più parti è stata avanzata questa ipotesi e, partendo da Acli e Caritas Italiana, a cui hanno aderito molte altre realtà e associazioni pubbliche e private, si è configurato il Reis: il Reddito di Inclusione Sociale, studiato dall’Università Cattolica per far fronte in modo continuativo, strutturato e controllato alla situazione di povertà perdurante nel nostro Paese dal 2008. Il progetto è stato presentato al governo precedente (Letta), all’ex capo di Stato Napolitano e anche all’attuale governo.

Il nostro compito è di prendere coscienza che il cristianesimo ha da sempre un legame stretto con e contro la povertà. Con la povertà, in quanto scelta e stile di vita, che testimonia che non facciamo del denaro e del benessere a tutti i costi i nostri idoli, che crediamo che il valore della vita non consista, secondo le parole del Vangelo, nella quantità di beni che si possiedono e perché siamo già comunque lontani, sempre, dalla povertà di Gesù che non aveva pietra su cui posare il capo. Ma siamo anche contro la povertà, quella soprattutto che affligge gli altri, che non permette loro uno sviluppo pieno della vita, non permette istruzione, cura della salute, educazione adeguata ai figli, serenità negli eventi improvvisi della vita: una povertà che a volte abbruttisce, diventa il primo passo per una china da cui è molto difficile risalire, allontana ed esclude, riduce le relazioni amicali e affettive e fa trovare le porte delle nostre stesse chiese chiuse di fatto alla loro presenza.

 

Discernere e operare

Niente di nuovo fino a qui. Sono cose che tutti già sappiamo. Il nuovo sarebbe in un impegno serio, meditato e deciso di appoggiare, nelle forme che si valuteranno più efficaci e consone, il progetto di un aiuto economico a chi non possiede più nulla, nella speranza di un’evoluzione positiva della situazione. Battersi per questo non è forse una forma del prendersi cura dell’altro? O non è forse una maniera di annunciare la giustizia che non può essere confusa né sostituita dalla carità? O ancora non è un modo di lavorare come comunità su un progetto comune che corre il felice rischio di unire e aggregare le comunità cristiane facendole uscire dal territorio recintato, facendole “chiese in uscita”? Chiese che si dimenticano almeno un po’ di se stesse, che accettano di perdersi in azioni non direttamente “sacre” per ritrovarsi in compagnia solidale con i poveri rappresentanti di Cristo?

 

 

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