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In precario equilibrio: un’analisi partendo dalle persone*

Posted By Tiziana Ciampolini On 10/03/2010 @ 18:24 In 1 - Soglie di Povertà,Approfondimenti | No Comments

[1]La Caritas Italiana in questi ultimi anni ha svolto alcune ricerche che avevano come fine l’analisi del fenomeno delle vulnerabilità in due quartieri simbolo della Città di Torino: uno (Barriera di Milano), periferico e con un’antica vocazione operaia, l’altro (San Salvario) centrale e storicamente considerato “degradato” ma con molteplici zone a “macchia di leopardo” di relativo benessere.
Nel primo caso la ricerca è stata condotta attraverso l’analisi del territorio ed è sfociata nel volume, editato nel 2007, dal titolo La città abbandonata e, nella parte locale, nel volume Barriera Fragile.
A seguito di questo percorso, valutata la ricerca nelle sue parti fondamentali, ci si è trovati nella condizione di dover fare un ulteriore approfondimento riguardo a due temi peculiari:

  • In un territorio che si sta frammentando cosa ne è delle vite delle persone?
  • Quale ruolo hanno il territorio, le reti e il sistema di welfare in questo processo?

 

Da queste domande è nata la necessità della seconda ricerca, curata dall’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Torino.
In precario equilibrio, questo il titolo della ricerca, è una vera e propria analisi del fenomeno delle vulnerabilità partendo dall’ascolto delle persone che vivono un territorio specifico come quello torinese di San Salvario, ritenuto rappresentativo dei fenomeni che attraversano le aree urbane. Quest’ultimo progetto si è coniugato con l’esigenza delle parrocchie, costantemente alla ricerca di vie di accompagnamento alle istanze poste da un nuovo tipo di economia e di conseguenza da uno sviluppo diverso delle istanze sociali finora prodotte dal territorio di competenza. In questo si è cercato non solo di avviare un’analisi sociologica, normalmente ferma e immobile, ma di immaginare, insieme ai volontari e alle stesse persone “vulnerabili”, un nuovo scenario, sperimentando anche nuovi percorsi di accompagnamento: dare all’ascolto un ruolo più pregnante e rappresentativo del metodo Caritas utilizzando nuovi e ulteriori significati. Per queste motivazioni e in questo senso è stato prodotto un Piccolo lessico per l’ascolto derivante da un complesso lavoro di ricerca realizzato da Caritas.

L’ascolto
L’intento di Piccolo lessico per l’ascolto è soprattutto quello di condividere con il lettore le scoperte fatte affinché possano essere generative di altre esperienze simili. Questo perché crediamo che solo attraverso l’ascolto possa nascere una nuova e più feconda comprensione della realtà. È ponendosi all’ascolto dell’altro con estrema attenzione che si possono sottolineare cose che magari sfuggono all’attenzione di chi le problematiche della vulnerabilità non le vive direttamente. Solo ascoltando si possono vedere nuovi problemi per avviare nuove soluzioni. Ascoltare, quindi, per ridefinire i nuovi drammi che un nuovo mondo “globalizzato e globalizzante” porta a vivere coloro che non hanno i mezzi sufficienti per poterlo affrontare. Ascolto anche come possibilità di agire e ricominciare a prendersi cura dei problemi della città in cui viviamo, attraverso i protagonisti dei drammi che ogni giorno passano attraverso le parrocchie e i nostri centri d’ascolto. Piccolo lessico per l’ascolto oltre a proporsi come guida per una nuova modalità di intervento, vuole porre al servizio della città anche gli esiti di un complesso progetto di ricerca-azione realizzato dalla Caritas Diocesana.

I vulnerabili
Chi sono, dunque, i vulnerabili? È importante capire, in un mondo che sta cambiando e perdendo i confini seguendo un’ottica di globalizzazione, come vadano mutati i nostri quadri di riferimento sul fenomeno delle “nuove povertà” e di conseguenza sugli interventi per contrastarne gli effetti.
I vulnerabili (termine un po’ abusato e ambiguo) sono persone comuni, diverse tra loro, che incrociano eventi che li mettono a rischio se non esistono elementi frenanti che li possano portare nelle bad lands della povertà. La vulnerabilità, a differenza della povertà novecentesca che definiva gli esclusi, si sperimenta invece all’interno di una vita ordinaria, che espone però al rischio di non riuscire più a svolgere compiti cruciali per la riproduzione sociale e personale e per la mancanza di risorse adeguate.

Il reddito
Il lavoro precario e il reddito scarso espongono a una doppia vulnerabilità: quella di non poter fra fronte a funzionamenti basici (la casa) e quello di non poter più far fronte a funzionamenti progettuali. Il reddito precario e scarso diventa dimensione invadente che fagocita, nel cercare di inventarsi tattiche di sopravvivenza le energie individuali diventando un pensiero ossessivo. Anche in questo caso, però, vanno distinte le situazioni di ogni persona: un padre immigrato con due figli ha diverse problematiche rispetto a un trentenne con un buon capitale individuale o un anziano con pensione minima.

Il cattivo lavoro
Dalle storie raccolte emerge soprattutto un sentimento di adeguamento, una resa alla situazione “così com’è”. La reazione oscilla tra la tenacia della ricerca senza sosta (sempre più spesso si sente dire che «cercare lavoro è un lavoro»), con un alto livello di accettazione e una speranza per il futuro sempre viva. Ma su questo le condizioni sono variabili a seconda della situazione che vive personalmente il soggetto, non è quindi affrontabile in maniera corale:

  • c’è chi è in transito verso la povertà conclamata, come gli over 50 con bassa qualifica;
  • ci sono giovani che, nonostante vivano esistenze dominate dalla discontinuità e frammentarietà e quindi dalla fatica e dalla preoccupazione, fanno emergere una forte competenza riorganizzativa, una sorta di adattamento superiore a quella di soggetti più adulti;
  • per le donne il cattivo lavoro si connette con la conciliazione dei tempi, creando un’alternativa che permane tra redditi e funzionamenti. Se ci sono figli le necessità di conciliazione portano verso contratti spezzettati che fanno perdere reddito e tempo nel passaggio da un lavoro all’altro e si è rilevato come la figura maschile non sia affatto di sostegno;
  • soprattutto per gli stranieri, la mancanza di reti familiari porta a minori possibilità di superare gli eventi critici.

[2]La famiglia e la genitorialità
L’evento generatore più ricorrente è la separazione, che espone al rischio di perdita di ogni equilibrio. Gli esiti, in questo caso, possono essere diversi, perché giocano un ruolo importante le reti, il sostegno di un buon welfare, il fronteggiamento del dissidio tra lavoro e genitorialità: un lavoro troppo invadente o un reddito troppo scarso espongono al sentimento di inadeguatezza. Soprattutto per le donne migranti l’essere esposte alla vulnerabilità fa sì che rete e famiglia non siano più risorsa, ma divengano responsabilità ulteriore.
Il paradosso che si è venuto a marcare è che le donne sono esposte alla vulnerabilità a causa di eventi che attengono alla sfera dei funzionamenti sociali condivisi ed enfatizzati dalla cultura dominante: per esempio la nascita di un figlio, lo sviluppo del ruolo di genitori, l’inserimento lavorativo. Il paradosso sta appunto nel prezzo che in termini individuali le donne si trovano a pagare per eventi ordinari che si trasformano in ciclicità. Entrano infatti in crisi la riorganizzazione del tempo di vita tra lavoro, cura e problemi di reddito. Il lavoro è fattore vulnerante quando è precario, associato a salario insufficiente e alla monogenitorialità. Questo viene enfatizzato poi nel caso delle donne migranti, lontane dalla famiglia d’origine, per le quali vi è una maggiore difficoltà nel superare gli eventi critici.

L’abitazione
L’abitazione precaria espone a un forte senso di fragilità. Il rischio di perdere la casa è legato a ragioni economiche che si accumulano nel tempo e non trovano meccanismi frenanti. Questo soprattutto perché gli aiuti che possono arrivare dal pubblico e dal privato generano ansia perché sono temporanei, e anche perché non trovano evoluzioni in altre situazioni (reddito, lavoro). Diventa in questo caso cruciale l’accompagnamento lungo, non previsto dal sistema del welfare attuale che può intervenire, a norma di legge, soltanto in situazioni di emergenza esplicita: quando cioè una persona ha già perso la casa e si ritrova per strada. Per i giovani under 30 l’abitazione diventa spesso casa collettiva: al contrario di quanto enfatizzato dai media, la dipendenza dalla famiglia è invece vissuta come vulnerabilità e umiliazione, una sorta di blocco progettuale nei confronti della vita adulta e del futuro.

La salute
La dimensione del benessere e della salute percorre tutte le fasi del corso della vita, ma diviene dominante soprattutto in due fasce di età:

  • gli over 60, dove spesso uno dei coniugi sostiene il ruolo del care giver e dove le spese mediche divengono spesso causa di problemi economici;
  • gli over 80, in cui la malattia segna la quotidianità e la scarsità di reddito si unisce alla scarsa possibilità di socializzare, che diventa irrimediabilmente solitudine.

Ma anche la separazione e la solitudine genitoriale sono generatori di vulnerabilità, esponendo a un disagio psicologico e psichiatrico che arriva a diventare in molti casi patologico. Insomma: la combinazione tra salute compromessa e capacità lavorativa espone a vulnerabilità quando il sistema di garanzie è debole e non ci sono elementi frenanti che tutelino dal rischio di perdere l’occupazione.

Socialità e radicamento
Se per gli under 30 questo non risulta essere un disagio, esistono invece pieghe di isolamento, una sorta di bolla in cui poco del microcosmo sociale circostante filtra: riguarda soprattutto le donne straniere, dedite al lavoro domestico, e gli anziani. Per questi ultimi il fattore di rischio di straniamento è alto, perché non riconoscono più il loro quartiere e devono convivere con nuovi abitanti. Per molti, soprattutto i più vulnerabili, gli stranieri sono “il nemico” perché sottraggono risorse. Anche il commercio di prossimità, sempre più gestito dai nuovi immigrati, porta cambiamenti e difficoltà ad adattarsi ai nuovi prodotti.

[3]La vulnerabilità intacca la sopravvivenza
La vulnerabilità intacca funzionamenti di base, il sopravvivere oltre al vivere; mette a repentaglio la riproduzione stessa della vita: potersi curare, avere un tetto, avere un lavoro “qualsiasi” fatto di reddito sicuro più che basato su particolari gratificazioni.
In più, questi funzionamenti sono correlati a un altro ambito progettuale: quello di essere buoni genitori significa in primis garantire la vita dei propri figli, offrendo una vita dignitosa. E questo vale per i genitori migranti, che sognano condizioni migliori per le nuove generazioni, ma anche per i genitori italiani. Per i migranti, inoltre, diventa preponderante l’essere liberi di eleggere il proprio territorio, condizione che presuppone abilità e competenze di riorganizzazione della vita e che implica il coinvolgimento di reti familiari e sociali, non sempre presenti.
Non ultimo il possedere un lavoro gratificante e coerente con i propri saperi diventa preponderante e ciò vale sia per i livelli economicamente più bassi che per quelli più alti. Questo si lega, ovviamente, alla necessità di avere autonomia personale e indipendenza economica, che ha a che fare anche con aspetti di tipo simbolico nell’ambito del progetto di un futuro: le dimensioni della coppia, della famiglia, della genitorialità come funzionamenti da conquistare, gradi di libertà materiali indispensabili per un progetto lavorativo gratificante. Tutto ciò porta anche al desiderio di una cittadinanza attiva, l’avere un ruolo sociale ben definito nel proprio ambito di vita. Durante la ricerca è emerso con chiarezza quanto nelle storie di donne straniere sia presente il bisogno di sentirsi attive e utili all’interno della propria comunità.

[4]I punti di svolta
Quali sono, dunque, i punti di svolta destinati a cambiare la vita delle persone? Quali le microfratture biografiche che intaccano comunque il proseguimento di alcuni funzionamenti? In primis: lavoro, casa, genitorialità, salute, diminuzione e perdita di reddito.
Ma le concatenazioni dipendono da imprevisti, gli scivolamenti avvengono dalla combinazione tra alcune dimensioni vulneranti e altre. Si crea, insomma, un meccanismo “a cascata” che invade sfere della vita diverse.

Un sistema fragile
Per ciò che riguarda la struttura pubblica di aiuto, nonostante il Comune di Torino investa in modo crescente nel settore dell’assistenza, a fronte di questo nuovo panorama del disagio le risorse sono drammaticamente scarse. Si sostengono pertanto meno persone, sporadicamente e per tempi brevi, con mezzi insufficienti. È un sistema che quindi si ritrova schiacciato sempre di più sulle emergenze ed è in grado di prendere in carico solamente le situazioni limite: diventa quindi soprattutto riparativo e non promozionale. Secondo le persone intervistate nella ricerca, la vulnerabilità è sostanzialmente lasciata a se stessa, diventa un territorio che il welfare non riesce a percorrere. La Chiesa stessa presenta la stessa fragilità e fatica: le risorse di primo aiuto e legate ai beni di prima necessità non sono più sufficienti come strumenti unici di accompagnamento di queste persone.

  • Le politiche dell’emergenza evidenziano dunque una triplice criticità:
  • quella di destinare all’assistenza anche chi potrebbe sfuggirle;
  • come raggiungere le persone in sofferenza per poterle aiutare;
  • il costo elevato dell’intervento.

Serve un welfare di prossimità
Parrebbe quindi che lo snodo “politiche attive-assistenza” non sia decollato, questo perché anche le risorse non sono all’altezza e quindi non divengono molto efficaci, soprattutto in un panorama sociale che avrebbe necessità di accompagnamento e non di intervento nell’emergenza. Diverrebbe invece necessario creare nuove forme di convivenza, di solidarietà e di mutualità. Sperimentare, nella pratica, un welfare di prossimità, che investa quindi sulla vita quotidiana e sulla qualità delle relazioni, che investa di più sulle persone e su quelle organizzazioni che dimostrano di avere non solo i mezzi, ma anche idee e metodo che vadano in questa direzione.

* A cura di Tiziana Ciampolini, Responsabile dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Torino, curatrice della ricerca “In precario equilibrio. Vulnerabilità sociali e rischio povertà. Un’osservazione a partire dal Quartiere San Salvario di Torino”, EGA Edizioni, 2009, Torino.


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