Sviluppo di Comunità: il punto

scritto da Redazione il 30 June 2016 in 23 - Sviluppo di comunità and Approfondimenti con commenta

comunitàÉ purtroppo noto come la crisi degli ultimi anni abbia causato in Italia il raddoppio del numero di persone in povertà, passate da 2,4 a 4,8 milioni in cinque anni, con un’incidenza sulla popolazione totale aumentata dal 4,1% all’8% e sulle famiglie dal 4,1% al 6,8%. Parallelamente sono diminuite le risorse pubbliche stanziate per la protezione sociale e sono crollati i trasferimenti pubblici ai Comuni, già piuttosto modesti. La crisi ha così minato profondamente il sistema di Welfare, tuttavia varie iniziative “dal basso” mostrano come sia ancora possibile realizzare azioni in grado di rimettere al centro le capacità delle persone e di riattivare i loro contesti di vita. Nei territori e nelle comunità locali, in particolare in quelli periferici, prendono infatti vita esperienze promettenti che partono dall’impegno dei cittadini che si prendono cura del proprio territorio. Da queste nuove forme di cittadinanza e di risposta ai bisogni sociali possono nascere nuove idee, nuove energie e nuovi metodi di lavoro. È ciò che viene definito con il concetto di “sviluppo di comunità”, ormai sempre più utilizzato per definire pratiche sociali innovative che cercano di sopperire alle carenze pubbliche nel soddisfacimento dei bisogni sociali dei cittadini.

Ne abbiamo parlato con Anna Zumbo, advisor del comitato promotore S-Nodi e coordinatrice di un nuovo progetto Caritas denominato significativamente “Comunità che innovano, che sta appunto lavorando nell’ambito di queste pratiche di innovazione sociale.

 

Cosa si intende concretamente quando si parla di “sviluppo di comunità”?

Con i termini “sviluppo di comunità” generalmente si intende un processo che coinvolge i residenti di una comunità locale volto al miglioramento delle condizioni di vita (economiche, socio-culturali, relazionali, fisiche…) ed all’esercizio del proprio “potere” sul mondo nel senso dell’espressione della propria capacità di conoscere il ventaglio delle possibilità di cambiamento, di scegliere anche l’inedito e di reperire le risorse necessarie a realizzare il miglioramento identificato. Alcuni degli elementi che contraddistinguono questi processi sono il coinvolgimento dei cittadini, espresso dal senso di responsabilità e dalla dedizione su base volontaria; la partecipazione, intesa come possibilità effettiva di influenzare la realtà; un approccio collettivo al problem solving; una dinamica di empowerment. Elementi su cui molto si è lavorato negli ultimi quaranta anni, ma che ritornano oggi spontaneamente e coniugati in modo originale come modalità organizzative emergenti nell’attuale contesto di crisi del modello tradizionale di Welfare.

 

È per questo che viene associato all’idea di innovazione sociale? Quali sono gli aspetti innovativi di tale pratica?

Si tratta dell’emergere spontaneo di fenomeni di adeguamento e di invenzione di soluzioni inedite e in alcuni casi potenzialmente dirompenti per far fronte al moltiplicarsi dei bisogni sociali; i nuovi modelli organizzativi e di governance basati sulle reti e non sulla gerarchia o il mercato; la centralità delle comunità e del capitale sociale e relazionale; l’economia dello sharing e dello scambio; il riconoscimento dell’immenso patrimonio di hidden resources che fasce importanti di popolazione possono mettere a disposizione; l’approccio territoriale, come spazio su cui coesistono bisogni, vocazioni e risorse peculiari quali precondizioni per lo sviluppo. Sono tutti tratti caratterizzanti dell’innovazione sociale che possono esseri stimolati, accompagnati e valorizzati nei territori da una visione ed un approccio metodologico settato sullo sviluppo di comunità.

 

Quindi stanno necessariamente cambiando le modalità di intervento nella lotta alle povertà?

È evidente che gli interventi di contrasto alla povertà estrema non possono più essere realizzati come avveniva prima della crisi. È comune la consapevolezza che, per produrre risposte efficaci anche nella lotta alla povertà, i processi debbano coinvolgere non solo singole persone in difficoltà, ma interi sistemi territoriali per attivare sinergie multilivello che portino ad andare oltre la prospettiva dell’assistenza, restituendo dignità e responsabilità, riattivando pratiche di reciprocità e producendo contemporaneamente valore sociale e valore economico.

 

Qual è allora e quale dovrebbe essere, a tuo parere, il ruolo di Caritas in questa prospettiva?

La Caritas gioca su questo fronte gran parte del proprio patrimonio di esperienze di servizio ai poveri, impegno nel contrasto alle cause della povertà e mandato all’animazione di comunità e territori. Il metodo Caritas – l’ascolto dei bisogni e delle risorse, l’analisi critica della realtà e l’attivazione di una riflessività collettiva che porta a fare delle scelte ed attivare dei processi di trasformazione dei contesti territoriali – rappresenta una grande esperienza da valorizzare, diffondere e rafforzare con adeguati strumenti teorici e metodologici. È un partire dall’incontro con le povertà per trasformare i territori con logiche nuove, che superino l’assistenza, puntino sul capitale umano anche dei poveri, investano su queste risorse, attivino i moltepici portatori di interesse per sviluppare impegno sociale che possa permettere alle persone di riallacciare relazioni “dense”, di fare esperienza della cura e della responsabilità diretta che ciascuno può assumersi verso l’altro.  Non fare cose nuove, ma fare nuove le cose. Rintracciare, valorizzare ed alimentare il contributo che le persone danno alla creazione e all’evoluzione dei propri ambienti di vita. Persone diverse per età, genere, competenze, ruolo professionale che condividono lo stesso contesto e lo stesso bisogno di stare bene, declinando in modo nuovo il concetto di “wel-fare”,  promuovendo anche nei processi di lotta alle povertà estreme la sfida della reciprocità, dinamiche di restituzione ed una logica dell’empowerment.

Intende andare in questa direzione anche il progetto Caritas “Comunità che innovano”, che tu coordini?

Sì, ed è in particolare rivolto ai giovani. Partito da una dimensione piemontese, in particolare promosso da S-NODI per le diocesi di Torino, Biella e Saluzzo, il progetto ha registrato l’interesse di altre Caritas diocesane fino ad assumere una dimensione europea. L’idea è di sperimentare una proposta educativa intensiva per un gruppo di giovani in età universitaria, al fine di valorizzarli e soprattutto dar loro gli strumenti per esercitare un maggiore senso di responsabilità e impegno verso il benessere delle proprie comunità. Una serie di study visit in Italia ed in Europa, molta formazione specifica e di qualità, stage nei servizi dei territori, l’accompagnamento di un tutor, la proposta del teatro sociale, strumenteranno i primi 50 giovani che hanno aderito al progetto a leggere in modo nuovo i bisogni e le risorse dei territori, ad orientarsi nelle riflessioni sul Welfare generativo, a scoprire come progettare e valutare nuovi interventi di lotta alla povertà, a conoscere e sperimentare modalità di attivazione e animazione della comunità, a sperimentare modalità comunicative capaci di esprimere la trasformazione dei bisogni, degli interventi e dei contesti nei quali si muovono.

La sfida, per questi giovani, così come per le Caritas diocesane che li accompagnano, è quella di scoprire e sperimentare come coniugare la lotta alle forme di povertà con lo sviluppo delle comunità locali. Si tratta di una sfida aperta: individuare, sostenere e mettere in rete esperienze innovative di comunità locali che rispondono in modo efficace ai nuovi bisogni sociali e sensibilizzare i giovani al coinvolgimento nella cura delle proprie comunità, sviluppando le loro competenze di lettura e risposta ai bisogni del territorio, e la loro intraprendenza come professionisti o cittadini.

 

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