Scarp de’ tenis: un mezzo per ricostruire dignità e futuro

scritto da Redazione il 1 June 2013 in 10 - Cerchiamo dimore and Buone pratiche and Esperienze e territorio con commenta

 «Deve essere chiaro a tutti, e deve sempre essere spiegato bene, che dietro ogni copia di giornale c’è un uomo: con una storia irripetibile, talvolta maledetta, spesso esemplare di come funzionano alcuni meccanismi sociali. Comunque un fratello: che mentre chiede aiuto sta mettendo in gioco se stesso, offre un racconto e un prodotto, cerca una relazione che può arricchire entrambi. E l’intera comunità». Sono parole di Paolo Brivio, direttore di “Scarp de’ tenis”, con il quale abbiamo parlato di questa importante esperienza editoriale/sociale con e per le persone senza dimora.

Com’è nato il progetto?
Scarp è uno dei tanti giornali di strada nati in Italia alla metà degli anni Novanta, sulla scia di analoghe esperienze anglosassoni. Oggi è il più diffuso tra gli street paper italiani: ha preso il nome da un’intensa canzone di Jannacci, che raccontava vita, sogni e disillusioni di un “barbun”, e intende dare voce, oltre che concrete occasioni di guadagno e reinserimento sociale, alle persone senza dimora. Il giornale è infatti venduto e in parte scritto da homeless e individui che vivono o hanno vissuto storie di disagio ed emarginazione. Il progetto è nato nel 1996 per iniziativa di un pubblicitario, Pietro Greppi, ma è ben presto stato rilevato e sviluppato da Caritas Ambrosiana: da allora ha stretto alleanze con molte Caritas, associazioni, cooperative, sindacati. Ed è cresciuto sino a una dimensione nazionale.

Chi e quante sono le persone che lavorano a “Scarp”?
La redazione centrale è composta da altri tre giornalisti oltre a me. Poi ci sono i responsabili della diffusione e gli amministrativi. Operatori sociali, che selezionano e seguono i fruitori del progetto. Ma soprattutto ci sono loro, i venditori e gli scrittori: nel 2012 hanno lavorato con noi, alcuni in modo continuativo, altri a tratti, circa 170 persone in tutta Italia. Sono italiani e stranieri, giovani e vecchi, uomini e donne. Molti attualmente senza dimora, altri con lunghi o brevi, comunque traumatici passaggi sulla strada. Grazie al giornale raccontano di sé e del loro mondo, si riabituano alle responsabilità e alla disciplina di un lavoro, guadagnano autostima (oltre che un piccolo reddito), consolidano i loro percorsi educativi e riabilitativi, riallacciano relazioni con la famiglia, riottengono l’iscrizione all’anagrafe e i documenti, pongono le basi per ottenere un alloggio. Insomma: combattono per ricostruire dignità e futuro. Alcuni ci riescono. Altri faticano. Tutti sono persone, che meritano aiuto e stima, che in cambio ci mettono la faccia, il coraggio, la voglia di riemergere, spesso anche fantasia e testimonianze di grande profondità.

Da una distribuzione locale, Milano, a una diffusione nazionale: come è avvenuto?
Nato a Milano, il progetto si è radicato da un decennio a Torino e Napoli e da un quinquennio a Genova; poi, grazie al supporto di Caritas Italiana che ha reso disponibili fondi otto per mille, Scarp è approdato tre anni fa in altre sei città: Como, Vicenza, Rimini, Firenze, Catania e Palermo. Attualmente stanno sperimentando la partecipazione al progetto anche Prato, Bergamo, Modena e Salerno. Stiamo raccogliendo manifestazioni di interesse anche in molti altri territori: ovunque i nostri interlocutori privilegiati sono le Caritas diocesane, e comunque tutti i soggetti che capiscono la duplice natura dell’iniziativa: comunicazione e reinserimento sociale. Cerchiamo partner che possano individuare e dare una chance di lavoro e di reinserimento a persone vulnerabili, seguendoli da vicino sul versante educativo e sociale, e che al contempo capiscano quanto c’è bisogno di fare informazione e cultura, riguardo a temi per lo più negletti dall’informazione che conta.

Qual è il valore aggiunto di questo progetto, perché quindi una parrocchia, una comunità o un’associazione dovrebbero adottarlo?
Centinaia di parrocchie di tutta Italia, ospitando sui sagrati delle loro chiese i nostri venditori nei fine settimana, ci “adottano” per tre motivi. In primo luogo, conoscono personalmente le persone che beneficiano dell’iniziativa: possono allacciare relazioni personali con i protagonisti del progetto e verificarne il percorso. In secondo luogo, possono dimostrare ai fedeli che se l’elemosina non è una forma raccomandabile di aiuto (anche se non va demonizzata), d’altro canto un povero, soprattutto quando si rende protagonista attivo del suo cammino di risalita, merita sempre rispetto e va sempre aiutato. Infine, dal giornale traggono spunti di animazione su temi importanti anche per una comunità cristiana: il nostro giornalismo è umile, ma incisivo, aderente alla realtà e ai problemi di tante persone e famiglie, vicino alle esigenze di tanti “piccoli” che la società contemporanea condanna a essere “esclusi”.

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