L’Italia e il “governo” dell’immigrazione

scritto da Redazione il 5 May 2011 in 4 - Accoglienza e diffidenza and Approfondimenti con commenta

L’arrivo in meno di quattro mesi sulle coste italiane di quasi 30.000 persone provenienti dal Nord Africa ha messo a dura prova il sistema dell’accoglienza in Italia ed evidenziato tutti i limiti e le contraddizioni dell’attuale approccio politico-amministrativo alla questione migratoria. Pur riconoscendo infatti tutte le difficoltà che comporta la gestione organizzativa di flussi straordinariamente elevati e concentrati in poco tempo di migranti in arrivo sul territorio italiano, è l’impostazione generale di governo del fenomeno migratorio a destare molte perplessità. La linea dell’“immigrazione zero”, del “fuori tutti”, dell’equazione “immigrati=delinquenti” portata avanti negli ultimi anni, oltre che contenere inutili, irrealistiche e pericolose semplificazioni, ha legittimato o fomentato una cultura del rifiuto dell’altro che ha messo il Paese nelle peggiori condizioni per affrontare una duplice e ineludibile realtà: i fenomeni migratori hanno alla radice cause così profonde che gli slogan e i proclami non possono minimamente condizionare; l’Italia e l’Europa in generale hanno estremo bisogno di immigrazione oggi e in prospettiva futura per salvaguardare un equilibrio demografico che è anche economico e sociale.
Servirebbe dunque un approccio più serio e lungimirante, che miri a costruire su basi solide la società di domani e che guardi alle prossime generazioni, piuttosto che alle prossime elezioni come invece avviene di solito. «Integrazione e pari opportunità devono andare di pari passo, in un intreccio di doveri ma anche di diritti. Bisogna spianare la via ai nuovi cittadini, non solo per sensibilità evangelica ma anche perché questa è l’unica via corretta per andare incontro al nostro futuro» si legge nell’introduzione dell’ultimo Dossier Immigrazione Caritas/Migrantes.

Le reali dimensioni del fenomeno
Secondo le stime dei ricercatori che da vent’anni studiano il fenomeno migratorio in Italia e pubblicano annualmente il Dossier Caritas/Migrantes, nel 2010 il numero degli immigrati stranieri regolarmente soggiornanti in Italia era di circa 5 milioni, con un rapporto di un immigrato ogni 12 residenti, ai quali si aggiungono circa mezzo milione di immigrati in condizioni di irregolarità. La presenza di stranieri regolari in Italia è pressoché triplicata nell’ultimo decennio, conla Lombardia che ne accoglie circa un quinto (982.225, cioè il 23,2%) e il Lazio poco più di un decimo (497.940, cioè l’11,8%), prime due regioni italiane per numero di immigrati stranieri seguite da Veneto (480.616, l’11,3%), Emilia Romagna (461.321, il 10,9%), Piemonte (377.241, l’8,9%) e Toscana (338.746, l’8%). L’incidenza media sulla popolazione residente è del 7%, ma in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si supera il 10% e in alcune province anche il 12% (Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia, Prato).
La comunità rumena è la più numerosa, con quasi 900.000 residenti; seguono quelle albanese e marocchina (quasi mezzo milione ciascuna), cinese e ucraina (quasi 200.000). Nell’insieme, queste 5 comunità straniere coprono più della metà della presenza immigrata in Italia (50,7%). Gli europei sono la metà del totale, gli africani poco più di un quinto e gli asiatici un sesto, mentre gli americani incidono per meno di un decimo.
Le donne incidono mediamente per il 51,3% sulla popolazione straniera immigrata, con la punta massima in Campania (58,3%) e la minima in Lombardia (48,7%). I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri incidono per il 13% su tutte le nuove nascite (più del 20% in Emilia Romagna e Veneto), ma se si aggiungono i nuovi nati da madre straniera e padre italiano (tipologia prevalente di coppie miste) l’incidenza sul totale dei nati in Italia raggiunge il 16,5%. L’incidenza dei minori stranieri, in tutto quasi un milione (932.675), è mediamente del 22% sull’intera popolazione minorile, mentre oltre un ottavo dei residenti stranieri (572.720, 13%) è di seconda generazione, per lo più bambini e ragazzi nei confronti dei quali l’aggettivo “straniero” è del tutto inappropriato. I figli degli immigrati iscritti a scuola sono 673.592 e incidono per il 7,5% sulla popolazione scolastica. Dal punto di vista occupazionale i lavoratori immigrati sono quasi due milioni e incidono per poco meno del 10% sui dipendenti, cui si aggiungono circa 400.000 lavoratori autonomi, hanno un maggiore tasso di attività (72,7%: 8,3 punti in più rispetto agli italiani) e anche un maggiore tasso di disoccupazione (11,2%: 3,5 punti in più rispetto agli italiani).

 Una percezione falsata
Se da un lato l’immigrazione in Italia è aumentata costantemente, con un numero di immigrati decuplicato in poco più di 20 anni, dando al Paese un assetto ormai saldamente multiculturale, dall’altro è cresciuto l’atteggiamento di chiusura nei confronti degli immigrati, sia da parte dei vertici politici sia da parte della base, complice da ultimo anche la crisi economica ed occupazionale. «La contrapposizione “aumento dell’immigrazione – aumento della chiusura” può essere uno schema utile per sintetizzare i dati statistici, con una particolare attenzione a quanti sono portati a ritenere gli immigrati un male supplementare per l’Italia, senza rendersi conto che l’avversione nei loro confronti non solo si discosta dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma va anche contro gli interessi del Paese» osserva ancora il Dossier Caritas/Migrantes, sottolineando alcuni significativi elementi della percezione falsata che del fenomeno immigrazione hanno molti italiani. Da una ricerca Transatlantic Trends del 2009, infatti, è emerso che mediamente gli intervistati hanno ritenuto che gli immigrati incidano per il 23% sulla popolazione residente (sarebbero quindi circa 15 milioni, tre volte di più rispetto alla loro effettiva consistenza) e che i cosiddetti “clandestini” siano più numerosi dei migranti regolari (mentre le stime accreditano un numero di irregolari che sarebbe circa un decimo di quello dei regolari).
Su questa distorta percezione influiscono diversi fattori, tra i quali anche la scarsa informazione di molti cittadini e la spesso non chiara rappresentazione data dai media, ma ciò che influisce maggiormente è probabilmente la colpevole strumentalizzazione politica del fenomeno. La maggior parte dei Rapporti internazionali e nazionali pubblicati negli ultimi anni in materia di razzismo e discriminazioni ha infatti costantemente denunciato la crescente xenofobia del linguaggio politico non solo ma soprattutto in Italia, coniando l’inquietante definizione di “imprenditori politici del razzismo”.

Bisogno di immigrazione ma politiche inadeguate
«L’obiettivo dell’integrazione è difficile ma irrinunciabile, richiede l’impiego di maggiori risorse e, ancora di più, è necessario un atteggiamento più aperto verso gli immigrati nella consapevolezza che essi sono indispensabili per sostenere l’andamento demografico negativo dell’Italia» sostiene Franco Pittau, coordinatore del Dossier Caritas/Migrantes, evidenziando alcuni dati. Nell’ultimo decennio in Italia, a fronte di un aumento di 2 milioni degli ultrasessantacinquenni, le persone in età lavorativa sono cresciute di solo un  milione di unità e i minori fino a 14 anni solo di mezzo milione. A metà secolo, secondo le previsioni di Istat e di Eurostat, con l’ipotesi di “immigrazione zero” l’Italia perderebbe un sesto della sua popolazione. Continuando i ritmi riscontrati in questo decennio, nel 2050 gli immigrati supereranno i 12 milioni e incideranno per il 18% sulla popolazione. Questo aumento non sarà una minaccia bensì una garanzia per la popolazione italiana, di cui un terzo avrà superato i 65 anni. In moltissimi comuni i figli degli immigrati incideranno sulla popolazione scolastica per il 30% o più, come già avviene in diversi Stati membri dell’UE e, a quel punto, bisognerà aggiornare le strategie per il mondo della scuola. Gli africani, che ora sono poco meno di un milione in Italia, a seguito dell’esplosione demografica del loro continente raggiungeranno i 3 milioni. «La parola d’ordine è “inclusione” – osserva Pittau –. Il vantaggio sarà reciproco in Italia e, inoltre, gli effetti positivi si riverseranno anche sui Paesi di provenienza tramite le rimesse (6 miliardi e 753 milioni di euro nel 2009)».  Attualmente in Italia i fondi vengono utilizzati soprattutto per le azioni di contrasto dell’immigrazione: secondo una stima riportata nel Dossier si tratta di circa mezzo miliardo di euro a carico del ministero dell’Interno e 2 miliardi di euro a carico del ministero della Giustizia. Servirebbero invece più risorse «sia per l’inserimento dei quasi 5 milioni di immigrati in posizione regolare sia per i richiedenti asilo (17.670 nel 2009, meno della metà rispetto ad altri grandi Paesi europei), rendendo più incentivanti le vie legali dell’immigrazione legale e i percorsi di integrazione» commenta Pittau.
Già, per ora invece la politica italiana sull’immigrazione è caratterizzata da poco o nulla per l’integrazione degli immigrati regolari, gran confusione sull’accoglienza dei profughi (resa dignitosa solo grazie a meritorie iniziative della società civile e di alcune amministrazioni locali), criminalizzazione degli immigrati illegali (con norme recentemente condannate dalla Corte di Giustizia Europea) e penose “furbate” tipo quella di concedere permessi di soggiorno temporanei agli ultimi arrivati con la speranza che se ne vadano in altri Paesi europei. In Italia, oggi, risulta difficile parlare seriamente anche di accoglienza.
http://www.dossierimmigrazione.it

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