Accoglienza e diffidenza

scritto da Redazione il 8 May 2011 in 4 - Accoglienza e diffidenza and Opinioni e commenti con commenta

Accoglienza o diffidenza è la scelta a cui siamo chiamati in questi giorni, settimane e mesi in cui una parte di mondo va a gambe all’aria. I cittadini dei Paesi che abitano la sponda meridionale del Mediterraneo, che hanno avviato un movimento di liberazione da regimi autoritari al potere da decenni, stanno mettendo alla prova le nostre scelte e i concetti su cui abbiamo fondato l’Europa. Questo movimento ci coglie impreparati ad affrontare eventi in cui veniamo interpellati direttamente nella nostra disponibilità e capacità di accogliere il vento che spira da Sud e le persone che questo vento sospinge verso uno spazio di mondo che appare migliore perché avrebbe raggiunto una democrazia matura e che offrirebbe opportunità per una vita più libera.
Questo vento però ha scompaginato equilibri e scoperchiato ambivalenze rivelando un’Europa fragile, vulnerabile che fatica a costruire strategie politiche e operative e che si incespica quando gli è chiesto di essere coerente con i valori e i principi europei che affondano le radici nelle idee di pluralismo, apertura mentale, tolleranza che hanno agito come leva di cambiamento per i popoli protagonisti delle rivolte. L’Europa sta scegliendo cosa fare di sé, dei propri valori e delle proprie pratiche attraverso un’opportunità fornita dal Sud del mondo.
Liberté, Egalité, Fraternité”, senza questo motto non sarebbe partito il movimento che nel continente europeo ha dato vita a nazioni basate sulla democrazia, senza questo motto non avrebbe preso vita un’era senza la quale non esisterebbero i progressi scientifici, tecnologici e di emancipazione sociale che oggi, in Occidente, diamo fin troppo per scontati.
E noi, cittadini di questa Europa, cosa scegliamo? E noi cittadini di questa Italia che mette al centro della propria identità le relazioni? E noi cristiani?
Noi che crediamo in un Cristo che indica il senso della nostra esistenza in una fraternità così ampia che include tutti gli esseri umani: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso » (Lc10, 27-28), che concretamente significa: «Senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, d’opinione politica e di qualsiasi altra opinione, d’origine nazionale o sociale» come recita l’articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata dall’ONU nel 1948.

Scegliere tra accoglienza e diffidenza, tra fiducia e sfiducia
Nella sezione Glossario di questo numero vi proponiamo una definizione di “accoglienza”: «Scelta intenzionale e condivisa da una comunità o da un contesto, di ascoltare e accompagnare con l’obiettivo di mettere a proprio agio e di dare sicurezza». La parola “diffidenza” proviene dal latino fides (fidare) a cui è stata anteposta la particella dis. È legata indissolubilmente a fiducia, quel sentimento di sicurezza verso qualcuno o qualcosa che ci porta ad affidarci a colui verso il quale proiettiamo un’aspettativa ottimistica. Quale parola scegliamo per rappresentarci? «Non ci fidiamo più dell’altro. Vediamo agguati dappertutto, il sospetto è divenuto organico nei rapporti con il prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi dietro i cancelli dei nostri recinti» scriveva don Tonino Bello.
Teniamo chiusi i cancelli del nostro cuore o decidiamo di aprirli per tenere fede alla nostra umanità e alla nostra scelta di fraternità? È un compito difficile quello di aprire il cuore e fare spazio all’altro. E se fossimo capaci di aprire un varco, di creare una Soglia per provare a vedere cosa succede, per fare piccoli esperimenti, tentativi, per aprirci al nuovo con prudenza ma con fiducia?

Reinventare confini trasformandoli in soglie
Non stanno forse facendo così i popoli? Perché non assecondare il movimento, invece che irrigidirci, per vedere cosa succede? Proviamo a trasformare il concetto di confine in soglia, per ammorbidirne i contorni. La soglia è qualcosa presente tra “due cose”, mette in comunicazione due ambiti senza che essi perdano la distinzione. La soglia è sia un confine sia un passaggio: apre e delimita.
Il confine definisce uno spazio e presume una diversità che sta al di là dell’area che esso delimita, in esso non è contemplata la necessità dell’incontro e in qualche modo viene esclusa una permeabilità tra i due ambiti. La presenza di un confine è la condizione che trasforma facilmente qualcuno in straniero perché non presuppone il contatto, l’incontro, la contaminazione. La soglia invece richiede di osare la strada verso l’altro e, se l’interazione riesce, prende vita uno spazio comune.
Il concetto di soglia è più mite, più domestico, pur delimitando un confine e un margine, apre ad una prospettiva dinamica, definendo passaggi, spazi intermedi leggeri, sospesi a tempo determinato perché sulla soglia si può attendere, non per un tempo infinito però.
La soglia è qualcosa di concreto, basti pensare alla soglia di casa: il punto da cui si entra e si esce, l’apertura del nostro perimetro intimo, il luogo che contiene ciò che è propriamente nostro, ciò che ci differenzia dal mondo esterno: è quell’apertura che ci mette in relazione con ciò che è altro da noi. La proprietà essenziale della soglia è il movimento che implica un cambiamento. Nella soglia avviene una variazione, un prima e un dopo, un “al di qua” e un “al di là”. Essa esige la presenza di un soggetto per poter essere: la soglia è sempre soglia di qualcosa per qualcuno, pertanto è costituita da un luogo e da una persona. Luoghi che possono essere soglia sono le parrocchie, le scuole, i negozi, i mercati, gli autobus, i treni, anche gli uffici pubblici. Luoghi vivi, attraversati con frequenza, abitati da persone molteplici, normali.
Se i luoghi soglia sono facili da rintracciare, occorrono persone che possano farsi soglia: persone in ascolto, porose, attente, generose, capaci di muovere risorse e capitale sociale. La persona soglia è più importante del luogo soglia, perché è lei a rendere l’incontro generativo. Molti luoghi possono diventare soglia se abitati da persone soglia (ma anche gruppi, organizzazioni), persone che esercitando l’ascolto, intercettano, stanano con lievità, indirizzano, mettono in connessione, hanno cura, prendono a cuore. L’essere soglia diventa così una qualità dell’essere, un modo di relazionarsi, una competenza (perché formabile) dell’umanità e della cittadinanza che diventa così responsabile e generativa, esercitabile in qualunque luogo di vita, in qualunque tempo della nostra esistenza, senza separazione tra il tempo dell’impegno e quello della vita quotidiana.
Muoversi da uno spazio all’altro è possibile, solo se si attraversa la soglia.
Il mondo, in fondo, può continuare solo se si è in grado di attraversare – concretamente – soglie, liberandoci dalla superstizione dei margini e dei confini invalicabili, necessari o naturali. Occorre trovare la soglia giusta, costituita magari solo da un interstizio, ripetendo il gesto che tanti cercatori di soglie hanno compiuto in passato, per rifondare un movimento che permetta di attraversare i confini aprendo così nuovi e autentici orizzonti di senso.

In questo numero…
In questo numero di “puntidivista” vi accompagniamo a “vedere” alcuni fenomeni sociali, alcune scelte politiche e alcune esperienze che possono “fare la differenza” tra accoglienza e diffidenza, tra stare nei confini o aprire soglie.
Forniamo informazioni in merito alle responsabilità dei Paesi che stanno accogliendo le persone in fuga dal Nord Africa nel dare risposte degne, di riconoscimento dei diritti fondamentali e della possibilità reale di goderne. A seguire alcuni dati sull’immigrazione e sulle richieste di asilo politico in Europa e in Italia.
Nelle pagine seguenti anche dati e informazioni provenienti dal Dossier Caritas/Migrantes, che invita ad una politica con lo sguardo lungo e perspicace per guardare al futuro e non solo ai risultati elettorali. E ancora, le denunce di Amnesty International, l’impegno e le considerazioni dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, le parole di Pietro Buffa, direttore del carcere di Torino che spiega la difficile situazione degli stranieri anche all’interno del sistema carcerario. La consueta rubrica sul Metodo Caritas, curata da don Giovanni Perini, ci conduce invece nella profondità di alcuni concetti e parole chiave: la filoxenia, l’amabilità verso l’altro, e la xenofobia, il rigetto e l’ossessione dell’altro.
Poi le sollecitazioni che giungono dalle esperienze raccontate da don Fredo Olivero, direttore della Pastorale dei Migranti della Diocesi di Torino, e dal coordinamento piemontese “Non solo Asilo”. Per finire con l’opinione di Pierluigi Dovis, direttore della Caritas Diocesana di Torino, il quale ci ricorda il compito della responsabilità, del farsi carico, non per benevola gentilezza ma per profondo senso di giustizia.
L’ultima pagina è un’occasione per fornirvi informazioni su come ricevere la nostra rivista e proporvi un indice dei contenuti multimediali finora prodotti, pensati come veri e propri strumenti di formazione ai temi trattati da “puntidivista”.
Buona lettura e buona estate, ci rivediamo a ottobre con il prossimo numero.

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