Il volontariato che “accoglie il nuovo”

scritto da Redazione il 14 April 2011 in 3 - Quale volontariato? and Buone pratiche and Esperienze e territorio con commenta

Davanti a me quattro donne semplici e ordinarie. Dopo un’intensa settimana di impegni la passione per il lavoro che le assorbe ogni giorno le ha condotte qui, presso la casa dei frati in San Salvario, per un dialogo-intervista nell’ambito del Corso per Volontari Caritas sulle vulnerabilità durante il quale condividere la loro esperienza di aiuto verso coloro che sono caduti nella ragnatela di una qualche fragilità. Dopo le prime parole e gesti di presentazione noto che sono donne piene di entusiasmo, ricche di determinazione, fierezza e soprattutto curiosità di conoscere: sono donne proiettate in avanti, che hanno fatto diventare l’attenzione agli altri uno stile di vita, una “professione” per accogliere, accompagnare ed orientare.
Operano in ambiti diversi, con contributi diversi, ma tutte parlano delle loro esperienze con la medesima carica emotiva e facendolo si raccontano e quello che risuona nelle loro parole non ha nulla a che fare con il costante, il ripetitivo, l’immobile e il definito.
Le loro vite, le loro attività quotidiane, sono tutto movimento e ricerca, confronto e aggiornamento, individuazione di priorità e soprattutto sono attraversate da punti interrogativi. Sono costantemente impegnate a porre domande. Domande alle persone che incontrano per conoscerne e capirne i disagi: fondamentale è fare le domande giuste, ma anche rispettare i silenzi, dare tempo e poi mettere tempo anche tra un incontro e l’altro per fare chiarezza in chi ascolta e anche in chi porta la richiesta di aiuto. Domande ribaltate a loro stesse sul come: come comportarsi, come attivarsi, come agire, come vorrebbero essere ascoltate loro? Questa è la domanda “prima”, importante, che offre la marcia in più per una diversa prospettiva, comprensione, apertura e disponibilità –  sapendo comunque che non si può avere una risposta per tutto e che a volte non servono risposte. Domande ad altri operatori e soggetti sociali per proporre ipotesi e individuare insieme una soluzione, senza mai scaricare il problema “credendo di aver già fatto la propria parte”.
I loro sguardi sono schietti, diretti, fiduciosi, danno fiducia ed è così che la ricevono per poter costruire pazientemente legami senza trovare soluzioni facili e immediate, perché vorrebbe dire sostituirsi all’altro. Invece “Ti accompagno, ma la strada la devi fare tu!” – “Io ci sono, sono qui, ci provo”. Le relazioni costano fatica e impegno, ma sono necessarie  e sono belle e quando si trova qualcuno che ci prova e si mette a disposizione lo si sente, si sente di non essere più soli alla deriva nel mare dell’incertezza: e colui o colei che accoglie non è solo nello stare accanto, dietro ha altre persone, una comunità, una rete di sostegno.
Condividere, mettere in comune la lettura dei bisogni e le soluzioni possibili, definire insieme degli obiettivi comuni: questa è la rete, la risorsa fondamentale perché un accompagnamento riesca al meglio.
La rete è un luogo di incontro tra persone che portano il loro contributo, senza essere gelose di quello che mettono a disposizione ed uscendo dalla logica dell’“io ho fatto” mettono al primo posto “la persona”. L’essere “attivi per gli altri” è qualcosa che fa sì che non ci si fermi mai, si diventa instancabili nella ricerca di soluzioni, alternative, possibilità, ed anche quando si pensa di non aver più nulla davanti, di aver provato tutte le strade, ecco che si aprono nuove alternative. Forse sta proprio qui l’inizio di tutto ogni volta, ogni giorno: mettere da parte le certezze perché con i bagagli è impossibile correre. E per fare questo è fondamentale ripartire da ognuno di noi, ripercorrere le scelte e riscegliere: mettersi in gioco.
La buona volontà non sempre basta, bisogna avere pro positività e intraprendenza, ma anche capacità e conoscenze che si possono apprendere e costruire: non tutti possono fare tutto e non si può neppure aspettare che ci venga sempre detto cosa fare. Si può mettere a disposizione le proprie capacità e coordinarle con quelle degli altri distribuendo mansioni e attività, ma ricordando che solo se si dà fiducia si avrà fiducia e solo se si è autentici si riceverà autenticità.
Bisogna uscire fuori, fuori da noi e dalla pigrizia che a volte ci assale, fuori dal proprio piccolo “recinto” di relazioni certe e luoghi familiari, per allargare i confini, per informarsi e conoscere. Occorre lavorare nei luoghi dove si è immersi per ottenere coesione e nuove relazioni perché il territorio (di qualunque si tratti) sia realmente “vissuto” da chi lo abita e sia in grado di includere tutti, soprattutto i soggetti più fragili.
La collaborazione, la creazione di reti personali permettono lo sviluppo delle relazioni e questo è l’antidoto ad una società frammentata e fragile.
Le testimonianze di queste “operatrici di relazioni efficaci”, raccontano di difficoltà ed esperienze vincenti proprie e altrui.
Alla fine quando le guardo andare via il loro passo è leggero, i movimenti sono pieni di vivacità, come se da questa intervista “confronto” si fossero caricate di nuova energia e nuove visioni.
• Quali caratteristiche hanno queste accompagnatrici/cercatrici di risorse?
Sono portatrici di entusiasmo, energia, determinazione, curiosità, costanza, disponibilità, generosità, ottimismo, ingegnosità, apertura alle novità.
• Quali competenze dimostrano di possedere?
Hanno sviluppato ottime capacità comunicative e relazionali. Hanno saputo e sanno valorizzare le esperienze personali. Conoscono l’ascolto attivo, partecipativo e attento, ponendosi empaticamente in relazione con gli altri. La capacità di immedesimazione permette loro di accogliere e individuare più punti di vista e giungere ad una migliore comprensione del contesto così da elaborare possibilità alternative ed ipotizzare soluzioni. Danno importanza all’accoglienza. Hanno conoscenza di se stesse, dei propri limiti e delle proprie capacità. Mettono dedizione, costanza, impegno nel loro “lavoro”.
• Quali strategie sembrano usare per cercare di utilizzare le risorse?
Prima strategia è il mettersi in moto e l’attivarsi con decisione, senza esitazioni per individuare chi e come può aiutare alla risoluzione del problema, partendo dal cerchio di conoscenze più vicine per poi espandersi a macchia d’olio, perché l’attivazione di rapporti porta con sé altri contatti ed ogni incontro è una “possibile risorsa” presente o futura.
Seconda strategia concomitante alla prima è la costruzione paziente e costante, senza mai arrendersi, di legami e rapporti che creano fiducia, rispetto e conoscenza reciproca.
Terza strategia consiste nella condivisione e messa in comune – che è proprio il principio del comunicare – dei bisogni di cui si fanno portatrici e delle soluzioni possibili che sono state individuate; nella definizione conseguente degli obiettivi con tutti gli attori del processo (portatori della domanda, operatori che l’hanno accolta, operatori con cui è stata condivisa, servizi/enti/organizzazioni ai contattati).
• Cosa potrebbero imparare i volontari Caritas da loro?
L’essere per gli altri è qualcosa che non si risolve con “ho fatto la mia parte”, ma è un modo di vivere con gli occhi sempre aperti, le orecchie sempre tese e il corpo pronto a percepire e ad agire con prontezza per accogliere il nuovo. Avere il cuore sempre colmo di riconoscenza per quello che si è ricevuto e anche per quello che non si ha ricevuto perché anche quello è buono “per me”.
Ricordarsi di mettersi in gioco sempre, anche quando la stanchezza assale, senza timori, senza rigidità, ma alla ricerca costante di informazioni e di aggiornamenti su “cosa accade” e “cosa si muove”. Sempre disponibili all’apporto di tutti perché non siamo “i migliori”, ma possiamo dare il meglio con l’aiuto degli altri.

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