“Non solo asilo” a Torino e in Piemonte

scritto da Redazione il 4 May 2011 in 4 - Accoglienza e diffidenza and Buone pratiche con commenta

Nonsoloasilo - okLe persone che necessitano di protezione internazionale costituiscono l’anello più debole della grande popolazione di migranti, perché non hanno alcuna possibilità di tornare nei luoghi d’origine dove sarebbe gravemente minacciata la loro incolumità. La maggior parte di queste persone cerca accoglienza e protezione nei Paesi più vicini a quelli da cui è fuggita, ma molti affrontano lunghi e difficili viaggi chiedendo asilo all’Europa. L’accoglienza che ricevono non è però sempre all’altezza, soprattutto in Italia, se non grazie a iniziative meritorie che nascono “dal basso”, dalle organizzazioni della società civile. Un’esperienza significativa di questo tipo è quella denominata “Non solo asilo”, avviata da qualche anno a Torino e diffusasi a livello regionale. Ne abbiamo parlato con Marco Canta, presidente della Cooperativa Orso che fa parte del coordinamento Non solo asilo ed è capofila del progetto FER – Fondo Europeo Rifugiati.Come e perché è nata l’esperienza “Non solo asilo” a Torino?
Il coordinamento Non solo asilo è nato nel2008, aseguito della presenza in città di numerosi rifugiati politici e titolari di protezione internazionale senza casa né lavoro, costretti all’occupazione abusiva di stabili.
Era evidente allora, ed ancora oggi, la carenza di posti a Torino e a livello nazionale previsti dal Servizio di quindi la necessità di mettere in atto iniziative per favorire l’integrazione. La presenza di queste persone ha interrogato molte realtà del privato sociale di Torino che, per la prima volta, hanno provato ad unire saperi, esperienze e risorse nel tentativo di metter in atto un’azione comune, capace di andare oltre le differenze esistenti con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento non solo formale del diritto di asilo: questa è stata la scintilla che ha generato il coordinamento Non solo asilo.
È seguita un’attività di incontro e colloquio con le persone che stavano nelle case occupate della città e al contempo si è esercitata una pressione nei confronti delle istituzioni affinché si facessero carico del problema. Il primo risultato è stata la nascita del Tavolo di co-progettazione al quale continuano a sedersi i soggetti del Terzo settore e le istituzioni locali (comune, provincia, regione, prefettura, questura) per individuare e progettare insieme possibili percorsi di inserimento delle persone rifugiate o titolari di protezione internazionale nel tessuto sociale regionale. Parallelamente è iniziata la ricerca di fondi per consentire la realizzazione di questi percorsi.

Quali sono i principali obiettivi che vi siete posti?
l’accompagnamento e l’inserimento lavorativo di 150 rifugiati politici e titolari di protezione internazionale sul territorio del Piemonte; il progressivo svuotamento dello stabile torinese occupato di corso Peschiera; l’identificazione e la ristrutturazione di una struttura di accoglienza per richiedenti asilo, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale che giungono a Torino anche dopo la fine del progetto; il rafforzamento e l’allargamento della rete mista (associazioni, cooperative e istituzioni) di accoglienza e l’accompagnamento lavorativo per richiedenti asilo, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale sul territorio piemontese

Quali i risultati ottenuti finora in termini di accoglienza effettiva e inserimento delle persone prese in carico?
L’obiettivo dell’inserimento di 150 persone è stato raggiunto e superato grazie ai progetti Piemonte Non solo asilo, con finanziamenti della Regione Piemonte e della Provincia di Torino, e al progetto FER Non solo asilo presentato nel 2009 e chiuso a giugno 2010. È importante evidenziare che la realizzazione del progetto e lo svuotamento dello stabile di corso Peschiera ha permesso la creazione di una rete a livello regionale che è tuttora attiva: sono circa 30 le realtà a livello regionale che sono entrate nella rete favorendo, così, l’inserimento delle persone. Resta invece irrisolto il nodo della struttura di prima accoglienza nel territorio metropolitano: ancora non esiste, per cui permane il rischio di nuove occupazioni. Inoltre, a seguito della riproposizione del bando FER per l’annualità 2010, sono stati presentati e rifinanziati due progetti di accoglienza finalizzati a consolidare i risultati raggiunti con il primo bando FER; recentementela Compagnia SanPaolo, considerando interessante la progettualità del coordinamento, ha reso possibile un progetto di integrazione per 40 persone tra cui 5 studenti universitari titolari di protezione internazionale. Alcuni Comuni hanno formalizzato alla Regione la propria disponibilità a realizzare delle accoglienze (in particolare Fossano, Bra e Alba), sfatando quindi l’ingiusta accusa mossa dal Comune di Torino agli altri Comuni di non essere disponibili ad accogliere rifugiati.
Certo non sono sufficienti sei mesi per l’integrazione delle persone provenienti da contesti di guerra; occorre più realisticamente pensare ad un periodo di 18-24 mesi, ma è stata interessante la prospettiva di rendere possibile la continuità attraverso una pluralità di finanziamenti che in nessun caso sono pesati sulle finanze dei comuni.

Quali invece i risultati a livello di coordinamento e collaborazione tra le organizzazioni della rete e tra queste e le istituzioni?
Il coordinamento ha avuto un ruolo fondamentale di pressione nei confronti delle istituzioni, facendo emergere delle contraddizioni ma ha anche offrendo delle soluzioni possibili. Ha operato anche sul versante del riconoscimento dei diritti, rendendo palese ciò che alcuni rifiutavano di vedere. In questo filone si inserisce la raccolta firme a Torino per il riconoscimento della residenza dei titolari di protezione internazionale. Il diritto alla residenza è un diritto soggettivo imprescindibile da cui discendono altri diritti (cure sanitarie, lavoro, cittadinanza). Sono stati stilati dei protocolli che hanno sancito degli escamotage per rendere possibile l’iscrizione delle persone al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ai Centri per l’impiego, alle agenzie interinali anche in assenza di residenza; ma non può essere sottaciuto che se i Comuni non sono disponibili a fornire la residenza e non c’è un disegno complessivo che li supporta in questa direzione, il rischio è quello di fare delle mere concessioni che sono altro rispetto al riconoscimento dei diritti.
Un risultato importante è stato sicuramente il lavoro condotto dal Tavolo di co-progettazione regionale che ha permesso l’avvio di tutte le iniziative progettuali, ma anche un costante monitoraggio di ciò che stava succedendo. Il Tavolo ha avuto una funzione tecnica e non politica, ma la qualificata presenza di funzionari pubblici al suo interno ha reso possibile un confronto proficuo, seppur a tratti molto dialettico

Come state lavorando ora, in seguito ai nuovi flussi di migranti dal Nord Africa e alle conseguenti richieste di protezione?
Di fronte a queste nuove emergenze il coordinamento ha fatto sentire la sua voce esprimendo la propria contrarietà rispetto alla realizzazione di tendopoli e al contempo ha aderito al passaparola, avviato in particolare dalla diocesi di Torino, rispetto alla ricerca di soluzioni abitative sull’intero territorio regionale. Sicuramente l’esperienza accumulata rende più facile questo compito e la presenza di diverse realtà in regione che fanno oggi parte della rete rende più agevole lo sviluppo di iniziative di accoglienza. C’è in tutti la consapevolezza che non è sufficiente trovare dei luoghi ma che occorre creare dei contesti capaci di sviluppare relazioni. Inoltre il coordinamento ha problematizzato il fatto che non è sufficiente trasferire le persone da Lampedusa alle pronte accoglienze attivate sul territorio regionale, perché queste richiamano più l’idea di “parcheggio” che quella di accoglienza; fin da subito occorre fare tesoro delle esperienze precedenti e prevedere l’attivazione di seconde accoglienze dotate di risorse adeguate anche sul piano finanziario: ma su questo punto al momento non ci sono risposte.

Che bilancio si può fare per ora di questa esperienza, soprattutto in termini di risposta da parte della cittadinanza (comunità locali e singoli cittadini), e quali sono le priorità che vi siete dati nel breve e nel medio-lungo periodo?
È stato molto interessante monitorare cosa è stato fatto sui territori e cogliere le risposte dei cittadini: in tanti si sono coinvolti e si sono resi disponibili. Interessante il lavoro di sensibilizzazione svolto nelle scuole o con i giovani, che hanno potuto ascoltare le storie dei rifugiati e la loro fuga dalla guerra. L’integrazione ha funzionato e funziona laddove la comunità locale ha fatto la sua parte ed operatori e cittadini insieme si sono adoperati per renderla possibile. Molte cose restano ancora da fare ed i compiti del coordinamento non si sono conclusi: è prevista la conclusione della campagna sulla residenza e la presentazione delle firme al nuovo sindaco di Torino; resta il problema della struttura di prima accoglienza; occorre ancora allargare la rete regionale (recentemente si sono aggiunte realtà nuove quali Asti, Racconigi ecc.) e rendere fruibile il diritto all’iscrizione al SSN. Sono in previsione diverse iniziative da realizzarsi a breve in occasione della decima Giornata mondiale del rifugiato.

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