Reciprocità e gratuità: lo stile di vita del volontario

scritto da Redazione il 15 April 2011 in 3 - Quale volontariato? and Opinioni e commenti con commenta

I l volontario che veramente aiuta i poveri è il primo povero, perché non si sente immune, al riparo dalla vulnerabilità. Quando manca questo aspetto c’è il paternalismo, c’è l’assistenzialismo, c’è un senso negativo che non serve né ai poveri, né a chi aiuta. Il volontariato che io amo di più è quello in cui il volontario si sente dentro a un rapporto, non un altruista. Penso cioè che il volontariato debba essere inteso come reciprocità, come offerta di un rapporto». Sono parole di Luigino Bruni, docente di Economia Politica ed Etica Economica all’Università Milano Bicocca e responsabile internazionale del progetto di Economia di Comunione. Lo abbiamo incontrato chiedendogli un’analisi e uno sguardo di prospettiva, che possa aiutare a metterci al lavoro per un futuro degno di questo nome, in cuila Caritaspossa davvero, con il suo agire, “abitare il tempo degli uomini d’oggi”. Secondo Bruni, il volontariato è una dimensione del vivere, non semplicemente del fare, mentre l’esperienza del volontariato va riletta non tanto come un’offerta di servizi e di beni ma invece come «offerta di comunità diverse e di rapporti nuovi».

Qual è l’immagine del volontariato oggi? Chi sono i volontari?
Se non ci fosse il volontariato, nell’Italia contemporanea, il “pane” sarebbe un “pane azzimo”, immangiabile. Se ad esempio oggi togliessimo tutti i volontari dalle istituzioni, dai luoghi, dalle comunità, l’Italia sarebbe un Paese assolutamente “senza sapore”. Ho quindi una grande riconoscenza e stima per la gente che dona energie, tempo, passioni, intelligenza per gli altri. Va perciò rivolto innanzitutto un ringraziamento al volontariato, una riconoscenza come cittadini. Ovviamente so che il volontariato è un luogo dell’umano e quindi come tutto l’umano è attraversato anch’esso dalle contraddizioni della vita, dove ci sono luci ed ombre, perché è vita.
Detto ciò, si può osservare come il modello italiano, più cattolico e comunitario, è sempre stato caratterizzato da un “fare con” gli altri: è la categoria della reciprocità che muove il volontario di tradizione cattolica. Il volontario non è un altruista, ma una persona che ha capito che la vita buona richiede reciprocità. Non è uno che si sacrifica per il bene comune, ma c’è sempre un dare che è anche un ricevere. Coloro che rischiano di più, sono persone che hanno colto come la vita sia legata a quella degli altri, e che non si può essere felici da soli. Il donare tempo alle persone svantaggiate è all’interno di un rapporto dove si da e si riceve. Il volontario, inoltre, è il primo povero, perché sperimenta che la povertà è una condizione esistenziale della vita, non è la mancanza di beni, ma un sapere che si dipende dagli altri. La povertà è condizione dell’umano, non una categoria di persone. Io penso quindi che il volontariato debba essere inteso come reciprocità, come offerta di un rapporto.

Alla luce di ciò, quale ruolo può avere il volontariato in prospettiva futura?
Com’è l’archetipo del volontario? Qualcuno che prima di dare vestiti, pane o cibo, offre un rapporto di reciprocità.
Quindi questo tipo di volontario avrà un futuro straordinario. Perché oggi, nella società dei consumi, nella globalizzazione, nella civiltà dell’individuo, il bene più scarso è il rapporto di gratuità. In futuro questi luoghi della gratuità saranno luoghi scarsissimi, quindi avremo un bisogno immenso di persone che, per vocazione, hanno capito il valore dell’atto di gratuità e della reciprocità.
Mi auguro che tra 50 anni l’umanità avrà risolto il problema dell’indigenza di beni, ma sicuramente sarà carente in quella del rapporto. Avremo carestie di gratuità e abbondanza di merci. Bisogna dunque rileggere l’esperienza del volontariato non tanto come un’offerta di servizi e di beni, ma proprio come offerta di comunità diverse e di rapporti nuovi.

A suo parere, cosa può essere necessario per vivere, convivere, produrre e riprodursi al fine di creare “comunità diverse”, un domani diverso?
Credo che il volontariato sia una dimensione del vivere: cioè non è tanto “che cosa faccio” ma piuttosto “come vivo”. Il volontario è una persona che ha capito che nella vita il bene più prezioso sono i rapporti, sono le persone, non le merci o i soldi. Vive questa dimensione a casa, al lavoro e poi, quando può, dona del suo tempo. È uno stile di vita, un modo di intendere l’esistenza umana; non è un’attività confinata in due, tre ore di tempo libero. Le ore donate sono la punta di un iceberg, se c’è l’iceberg hanno senso: c’è qualcosa che è più profondo, invisibile, ed è una vita vissuta come reciprocità e gratuità.
Quel tipo di volontariato non è paternalista e non è assistenzialista, non è un rapporto di potere; non è il dono che lega, ma il dono che libera. Chi dona lo fa come eccedenza di vita, non come mancanza di qualcosa che si cerca nel rapporto. È una persona che vive la sua vita come gratuità, altrimenti saremmo macchine.
La mia idea di volontariato è un’idea antropologica, cioè è un concepire l’esistenza come dono, non come altruismo. La vita funziona quando ti occupi degli altri e non funziona quando pensi a te stesso. Il volontario lo fa vedere, ha questo ruolo di sentinella, cioè di far vedere qualcosa che è di tutti.

Ma com’è possibile tornare ad educare alle virtù semplici, che stanno alla base della nostra civiltà e del vivere civile?
A me piace molto partire da una virtù che non sembra una virtù, ma un’altra dimensione della vita, ed è il tema della bellezza. Che cosa vuol dire? Quando io tratto con un povero, con un soggetto svantaggiato, metto in essere anche una dimensione estetica: se, per esempio, servo un pranzo con un vassoio bello in ambienti dignitosi e belli sto dicendo che tu vali anche se sei malato, se sei un povero. Questo è tipico del volontariato vero: attribuire un valore intrinseco alle cose.
Un volontario che capisce la dignità delle cose, è attento alla bellezza. Non dobbiamo, quindi, trovare strutture pubbliche brutte, luoghi della Caritas brutti: quella bruttezza mi dice che manca la dimensione della dignità dell’altro. La bellezza è oggi una virtù sociale: si vive male in città brutte, si muore malissimo e prima in ospedali brutti. Il tema della bellezza non è una faccenda privata, consumistica o romantica, perché scuole brutte, ospedali brutti, città brutte, rendono la vita brutta e poco civile.
Non si può essere specialisti del buono e non anche del bello e del vero, perché altrimenti non funziona nessuno dei tre. Quindi attenzione, perché in Caritas il volontario non è uno che si occupa solo di cose buone, ma è colui che non può non occuparsi della bellezza.
Poi ovviamente dobbiamo parlare di fraternità. Quando gli illuministi nel Settecento hanno iniziato ad enunciare i principi di libertà, uguaglianza e fraternità, perché fu introdotta la fraternità? Perché per costruire il mondo nuovo non bastano le persone uguali e libere, serve qualcos’altro che le tenga assieme che è la fraternità. Un popolo che non trova un legame sociale anche se è fatto di persone libere ed eguali non è popolo, è una sommatoria di individui, quindi non ha passioni e non ha futuro.
Ecco perché oggi, all’Italia, mancando la fraternità manca tutto. Senza fame di vita non c’è futuro, la fraternità è una categoria della speranza. Se non c’è un legame con le persone non si spera: tu puoi essere libero e uguale, ma se non ti senti parte di una comunità ti intristisci.
Senza fraternità non c’è felicità. Ci può essere il piacere individuale, ma non c’è questa gioia di vivere che è sempre legata alle comunità, a sentirsi parte di un corpo.

Qual è la differenza tra fraternità e solidarietà?
Fraternità oggi significa riconoscere che siamo legati da un rapporto e quindi che i beni comuni sono a spese di fraternità. Il tema dell’acqua, dell’aria, dell’ozono non possono essere affidati ai singoli individui, ma sono problemi comuni, di fraternità, di legami tra di noi.
La fraternità, essendo un legame, è ambivalente e vulnerabile; cosa che non avviene con la solidarietà. Posso essere solidale con il povero che non vedo mai, dando semplicemente un’offerta. La fraternità è un rapporto personale, che mi rende esposto all’altro.
Non sono mai immune, come posso essere quando sono solidale. La fraternità è sempre esperienza di vulnerabilità, di fragilità condivisa e di abbraccio.
Quindi è essenziale per la gioia di vivere, perché ti da la dimensione del corpo, del limite dell’altro. Per questo il volontariato ha molto a che fare con la fraternità e meno con l’essere solidali: perché è un rapporto, un abbraccio, un incontro e non semplicemente una donazione di denaro o di tempo anonimi, lontani ai poveri.
Dobbiamo inoltre tenere presente che dalla parte opposta della fraternità non c’è l’indifferenza ma c’è il fratricidio. Se io non mi occupo di te, ti uccido. L’esperienza vera di dono è un’esperienza ambivalente, che deve mettere sempre in conto la possibilità della ferita dell’altro; altrimenti rimaniamo solidali, facciamo la donazione, diamo il contributo con il telefonino. La fraternità è un’altra cosa: io ho il mio rapporto con te e con le tue e le mie ambivalenze. Quest’umanità a tuttotondo, che incorpora la fiducia vera, è sempre aperta al tradimento. Il rapporto vero è sempre aperto alla possibilità della tragedia, altrimenti non è un rapporto vero.
Ecco perché il volontariato è una cosa molto seria: non un hobby, ma un esporsi all’altro e mettersi in un rapporto di mutua reciprocità e quindi di mutua vulnerabilità

Anche la gratuità porta dentro ambivalenze, fragilità e spesso non piace, perché suona come qualcosa di falso o di impossibile. Cosa ne pensa e crede sia fattibile aiutare a vedere la gratuità come dimensione possibile e non utopica?
La gratuità non va confusa con il dono, e il dono non va confuso con il regalo. È una dimensione dell’esistenza, non è una donazione a prezzo zero di cose o di tempo.
Il volontario non vive la gratuità in quanto non è pagato, ma la vive in quanto è espressione di relazione autentica con l’altro. Poi il fatto che non sia pagato non è sostanziale: io posso vivere la gratuità in modo totalmente compatibile con il pagamento. Cioè la gratuità è doverosa, io come la vivo? Non facendo lo straordinario gratuito, ma dando la vita nelle mie ore di lavoro che siano donate come esistenza. Poi posso anche fare lo straordinario, ma non è quella la mia gratuità, è tutta la giornata. O è gratuità o la vita si spegne. È la dimensione dell’esistere, dell’eccellenza che va oltre il dovuto.
Nel volontariato la gratuità non deve coincidere col prezzo zero, ma, come direbbero i francescani, con il prezzo infinito. E quindi il grazie, la riconoscenza dell’altro non è una controprestazione in denaro, ma è un valore molto più grande. Il denaro non è incompatibile con la gratuità, anzi mi attrae molto come economista la gratuità del doveroso, dell’ordinario, delle otto ore di lavoro. Non posso dire che il lavoro è non gratuità e la gratuità è il dopo cena o il fine settimana. Il volontariato è gratuità in quanto è espressione di tutta la vita, di tutto il lavoro e quindi anche quando dono tempo non remunerato in certi contesti. Chi fa volontariato lavora gratis? No, se io do la vita, ha un valore immenso quello che faccio. Il fatto di non essere pagato è un elemento fra gli altri, non l’unico che mi caratterizza. Potrei un giorno essere assunto, ma è sempre gratuità, anche se sono pagato.
Il volontariato è molto di più del prezzo zero, altrimenti rischiamo di ridurre il valore. Occorrono altri linguaggi, più sofisticati del denaro.

Quali sono il ruolo e il compito della Chiesa dentro questo “cantiere per il domani”, dove ci sia spazio sia per la tradizione sia per la generatività?
Penso chela Chiesadebba trovare una nuova semantica, cioè un nuovo linguaggio per raccontare in un modo diverso le cose bellissime che ha. Dobbiamo riuscire a far capire, in particolare ai giovani, che le cose che accadono dentrola Chiesasono le parole nuove, le stesse che cercano fuori: l’autenticità, la gratuità e la reciprocità. Bisogna riuscire a rielaborare e a raccontare il Vangelo in un modo nuovo. Ho l’impressione che quando si leggono certi documenti della Chiesa, se non si è esperti di linguaggio ecclesiale, si rischia di non capire che in quelle pagine si parla di vita, di morte, di passione e di bellezza, che sono le grandi cose che le persone oggi cercano. Dobbiamo ri-appassionare le persone ai grandi temi.
Quando succede che cominciamo ad occuparci di cose nelle quali c’è la vita ordinaria e poi la dimensione religiosa, siamo in crisi. Ma come si esce dalla crisi? Ridando alle grandi parole teofore, che portano a Dio, una nuova semantica. Dicendo: “guardate che le cose che voi cercate sono le stesse che noi vi raccontiamo in modo molto più grande rispetto magari a un libro di economia o di psicologia”.
La storia della Chiesa è ancora agli albori, non è finita; siamo ai primi minuti di un giorno, il Cristianesimo è appena cominciato. Dobbiamo riuscire in questi minuti a ri-raccontare quelle grandi parole in un modo nuovo. Abbiamo bisogno, quindi, di una grande operazione culturale di mediazione.
Caritas, ad esempio, incorpora tutte le parole belle di oggi: gratuità, reciprocità. Sono i grandi temi dell’ultima enciclica del Papa, Caritas in veritate.
Oggi dobbiamo riuscire a ri-dire: se faccio un convegno e lo intitolo “Qual è l’etica per il bene comune” non viene nessuno, perché etica e bene comune sono associate a parole vecchie; se invece scrivo “Felicità pubblica, reciprocità e gratuità nell’era dei beni comuni” qualcuno viene. Dico le stesse cose, raccontandole con parole più capaci di muovere le passioni belle della gente, dei giovani.
Sono molto importanti le parole, purché siano di vita.La Chiesaè una comunità di vita, non tanto un insieme di dogmi; è una storia che continua nella storia dell’oggi, perché è una vita insieme. Ci deve essere una comunità che vive, che fa esperienza. Se non c’è una comunità dove si toccano nelle corde profonde i giovani, non recuperiamo questa dimensione di vita.

Intervista video

  • Prima parte “Immagini e significati del volontariato”
  • Seconda Parte ” Bellezza e virtù civiche per educare alla fraternità”
  • Terza parte: “volontariato e gratuità dell’ordinario”

 

 

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