Ripartire…

scritto da Pierluigi Dovis il 7 October 2012 in Opinioni e commenti con commenta

Mala tempora currunt» diceva Marco Tullio Cicerone, aggiungendo poi «…e di peggio forse sta per capitare». Questa è probabilmente la situazione che avvertiamo anche in questa fase storica, magari un po’ esagerata in alcuni dei suoi contenuti, ma i dati li conosciamo e tutti gli osservatori stanno evidenziando una condizione generale sempre più improntata a molte forme di fragilità e vulnerabilità. Di fronte a tali problematiche, in questi anni avremmo potuto comportarci come bambini, che di fronte ai problemi si mettono a piangere e aspettano che altri ci pensino; oppure come gli adolescenti, che pospongono il problema concentrandosi su altro; oppure come gli adulti, che affrontano la situazione cercando di inventare o trovare delle soluzioni; oppure come gli anziani, che spesso ricordano.
Caritas Torino, piccola organizzazione in una grande città, da alcuni anni ha scelto di lasciarsi interpellare senza preclusioni da questa situazione di difficoltà e, facendo un percorso che ha attraversato varie fasi, si è chiesta se questa vulnerabilità sempre più presente nella nostra società possa generare qualcosa di diverso dalla commiserazione nella quale spesso ci rifugiamo; possa generare qualcos’altro rispetto a una lotta violenta, rispetto a una logica spartizionista che va alla ricerca della “fetta” più grande da tenere per sé. Così facendo, ci siamo resi conto che esistono delle possibilità, che in effetti questa vulnerabilità può generare qualcosa di nuovo e di diverso, ma solo se questo nuovo parte dalla messa in comune di responsabilità diverse, accettate fino in fondo da tutti i soggetti che sono implicati nella costruzione del bene comune, all’interno del nostro contesto territoriale, delle nostra storia, della nostra realtà. Una responsabilità che non si ripiega negli ambiti di intervento, ma che mette insieme degli ambiti diversi intorno a dei contenuti, a delle idee che siano in grado di darci un “sogno realizzabile” se fatto e costruito insieme.

Una proposta generativa
È nato così il cammino che abbiamo iniziato a proporre a diversi attori cittadini un paio di anni fa con un incontro che abbiamo voluto chiamare “Torino me for we”, “io per noi”, cioè una chiamata a mettere in campo responsabilità diverse per superare una logica vittimistica ed entrare in una logica generativa. Riteniamo che questa sia l’unica possibile soluzione per poter pensare di fare di questo momento di crisi non il momento della fine, ma quello dell’inizio di un nuovo modo di gestire la convivenza; dove non si lavora per settori ma per sinergie, non si lavora per campanili e bandiere ma per obiettivi condivisi, non si lavora per riprodurre ciò che è già stato ma per dare elementi di speranza nella concretezza alle persone. Due anni dopo, con l’iniziativa “La bellezza dell’intraprendere. Cento minuti di idee” (Torino, 22 maggio 2012), abbiamo cercato di capire come si può essere capaci di generare ciò che è profondamente bello e che può rendere anche una situazione di difficoltà, come quella in cui ci troviamo, una situazione di “ri-creazione” dei nostri modelli e del nostro modo di stare insieme.

Il coraggio di uscire dalle divisioni e dal già visto
Da quanto emerso nel corso dell’incontro del maggio scorso (cui dedichiamo gran parte di questo numero di “puntidivista”) ho tratto una convinzione, che avevo già prima ma che in qualche modo mi si è rafforzata: noi viviamo in un preconcetto, secondo cui chi non ha o chi ha di meno sia destinato solo a ricevere; adesso che tutti abbiamo di meno siamo dunque destinati a ricevere perciò allarghiamo le braccia, spalanchiamo la bocca in attesa che qualcuno ci dia qualcosa. Questo preconcetto va estirpato decisamente e subito dal nostro orizzonte, perché noi siamo persone e gruppi sociali solo nella misura in cui diamo non in quella in cui riceviamo, nella misura in cui siamo capaci di mettere a capitale comune quel poco o quel niente che siamo. In una delle sue lettere San Paolo diceva: «Poveri arricchiamo tanti», cioè è la nostra piccolezza che deve aiutarci oggi a far diventare noi stessi una risorsa per la difficoltà che c’è, senza aspettare la “manna dal cielo” o che i decisori pubblici cambino di loro iniziativa la situazione del nostro Paese e della nostra condizione territoriale. Per fare ciò dobbiamo innanzitutto smetterla di lamentarci, perché anche se la colpa può essere di qualcun altro finché cerchiamo le colpe fuori da noi e continuiamo a vivere strade parallele e divise non andremo da nessuna parte. Questo è il momento per abbattere le barriere, che non significa perdere l’identità e la dignità ma invece significa mettere a servizio quel poco che siamo. Cosa possibile solo se si trova il coraggio: non mancano i dispositivi, neanche le occasioni (siamo in crisi dal 2008), quel che è mancato finora è stato il coraggio di curare le alleanze al di là dell’autoreferenzialità. Serve dunque questo coraggio, che dobbiamo trovare anzitutto noi dal basso chiedendo alle istituzioni un aiuto per poter essere nelle condizioni di farlo.
Dobbiamo poi anche uscire da un settorialismo esasperato, che in questi anni ha costruito il nostro Welfare e la nostra cultura “a pezzi”; dobbiamo tornare un po’ all’ideale medioevale della “Universitas studiorum”, cioè del mettere insieme e del fare sintesi.
Così come si deve avere il coraggio di uscire dal vecchio, dal dejia vu: mi pare che tante soluzioni che stiamo in qualche modo mettendo in atto siano semplicemente la riedizione di qualcosa di già dato, cambiano i termini e le posizioni ma i fattori sono sempre gli stessi. Uscire dal vecchio non significa buttare ciò che di bello è stato costruito, ma invece avere anche il coraggio di lanciarsi nelle scommesse di possibili realizzazioni di futuro. Allora, uno degli elementi importanti della generatività sociale sarà lo scommettere sui giovani, non perché essi vengano a fare e ricostruire ciò che noi abbiamo distrutto, ma perché è l’inventiva del giovane che ci può riportare al di là delle secche. Non basta quindi parlare di giovani, bisogna invece avere il coraggio di mettere i giovani nelle condizioni per cui possano esprimere se stessi e fare ciò che dicono.
Alla luce di tutto ciò, Caritas Torino si impegna a creare e far crescere delle occasioni per una continuazione seria e concreta, ma nuova e diversa, di questa ricerca a trovare strade su cui camminare e far camminare, piccoli buoni esempi da offrire a chi ha responsabilità più alte affinché possa tenerne conto nel suo operare.
Questa è una generatività che si impone e ciò che si impone è verità, una verità vera e profonda che dobbiamo cercare e perseguire nei mesi e anni che ci stanno davanti.

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