Caritas Italiana e Fondazione Zanacan: in Italia la povertà dei diritti negati

scritto da Redazione il 15 December 2011 in 6 - L'ombra della povertà and Approfondimenti con commenta

Non sono solo le condizioni economiche ma anche la negazione di alcuni diritti fondamentali a determinare povertà ed esclusione sociale e soprattutto a renderne difficile il superamento, secondo l’XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia curato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan

«Alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia – pur tutelati dalla Costituzione italiana – sono i primi a essere messi in discussione e negati. Allo stesso modo, viene regolarmente violato il “diritto a non scomparire per effetto statistico”, visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie». È quanto scrivono gli autori dell’XI Rapporto su povertà ed  esclusione sociale in Italia, pubblicato a fine ottobre 2011 a cura di Caritas Italiana e Fondazione Zancan, non a caso intitolato quest’anno Poveri di diritti.
Sottolineando la «sostanziale difformità» tra i dati ufficiali relativi alla povertà in Italia e la reale condizione del Paese, che richiederebbe un metodo di rilevazione più sensibile ai cambiamenti, il Rapporto osserva che secondo le rilevazioni dell’ISTAT la povertà è aumentata tra il 2009 e il 2010: i 7,81 milioni di persone povere (13,1% della popolazione) stimate nel 2009 sono diventati 8,27 milioni (13,8%) nel 2010, mentre il numero di famiglie che vivono in condizioni di povertà è passato da 2,66 milioni (10,8%) a 2,73 milioni (11%).
Nel  corso del 2010  la  povertà  relativa  è  aumentata,  rispetto  all’anno  precedente, tra  le  famiglie  di  5  o  più  componenti  (dal  24,9%  al  29,9%),  tra  le  famiglie  monogenitoriali  (dall’11,8%  al  14,1%),  tra  i  nuclei  residenti  nel  Mezzogiorno  con  tre  o  più  figli  minori  (dal  36,7%  al  47,3%)  e  tra  le  famiglie in  cui  almeno  un  componente  non  ha  mai  lavorato  e  non  cerca  lavoro  (dal  13,7%  al  17,1%).  La  povertà però, sottolinea il Rapporto, è  aumentata  anche  tra  le  famiglie  che  hanno  come  persona  di  riferimento  un  lavoratore  autonomo  (dal  6,2%  al  7,8%)  o  con  un  titolo  di  studio  medio‐alto  (dal  4,8%  al  5,6%, mentre per questa tipologia di persone la povertà assoluta è passata dall’1,7%  al  2,1%).

Negati diritti fondamentali
Ciò che manca in Italia, secondo gli autori del Rapporto su povertà ed esclusione sociale, è una prospettiva corredata di misure che permettano alle persone in difficoltà di migliorare la loro condizione, con la consapevolezza cioè che l’uscita dalla povertà è possibile.
«Invece  oggi  esiste  una  “cultura  diffusa”  secondo  cui  le  azioni  a  favore  dei  poveri  da  parte  dello  Stato  sono  una  specie  di  benevolenza,  una  concessione,  una  cura  di  mantenimento  per  povertà  di  lungo  periodo  da  cui  è  difficile  uscire» sostengono gli autori del Rapporto, secondo i quali è proprio questo atteggiamento a comportare  «la  negazione  di  alcuni  tra  i  diritti  fondamentali».

• Diritto  alla  famiglia:  la  povertà  colpisce  con  particolare  violenza  le  famiglie  numerose,  con  più  di  due  figli.  «Senza  un  adeguato  sostegno,  le  famiglie  non  saranno  incentivate  a  fare  figli  e  le  ripercussioni  a  livello  demografico  saranno  pesanti» si legge nel Rapporto, che sottolinea tuttavia come nel  bilancio di  previsione  dello Stato per gli anni 2010‐2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra un decremento dai 185,3 milioni di euro del 2010 ai 31,4 milioni previsti per il 2013.

• Diritto  al  lavoro: in  Italia  i  cittadini  di età compresa tra  i  15  e  i  64  anni  con  un  lavoro  regolarmente  retribuito  sono  quasi  23  milioni, cioè circa il 56,9%  del totale che rappresenta una percentuale tra  le  più  basse  dell’Occidente. Sono soprattutto tre le categorie maggiormente vulnerabili: i giovani, il cui tasso di occupazione è in continua diminuzione; le donne, meno della metà delle quali ha un lavoro; le persone diversamente abili, per le quali gli avviamenti effettivi al lavoro riguardano appena un quarto delle domande di assunzione presentate.

• Diritto al futuro per i giovani: i giovani che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo INPS, ossia di 500 euro. Si tratta dei poveri relativi di oggi e dei poveri assoluti di domani.

Soldi spesi male
Gli enti locali continuano a investire molte risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà ma con scarsi risultati, osservano gli autori del Rapporto denunciando come il problema di fondo sia rimasto pressoché invariato: «Prevale la logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di rispondere alla povertà non incentiva l’uscita dal disagio, anzi, rischia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che, a fronte dell’aumento di risorse, non si è registrato un corrispettivo calo del numero dei poveri in Italia». Tra il 2008 e il 2009, infatti, la spesa assistenziale dei Comuni è aumentata del 4%, la spesa per la povertà dell’1,5% e quella per il disagio economico addirittura del 18%, il tutto però senza incidere positivamente sulla riduzione della povertà.
«Eppure  in  Italia  si  continua  a  percorrere  questa  strada  fallimentare» sottolinea il Rapporto Caritas-Zancan: la maggior spesa pro capite è riservata tutt’oggi ai contributi economici una tantum a integrazione del reddito familiare: nel 2008 per erogarli sono stati spesi 276 milioni di euro, cioè 4,62 euro per abitante. Questi contributi rappresentano circa il 13% della spesa per persone povere o con disagio economico, un altro 12-13% è finalizzato a erogare contributi per l’alloggio, mentre quelli per cure o prestazioni sanitarie rappresentano il 2% e quelli per i servizi scolastici solo l’1% della spesa per povertà e disagio economico.
Naturalmente il tutto avviene con enormi differenze a livello regionale: nel  2008 il divario  di  spesa  pro  capite  tra  chi  ha speso  di  più  e  chi  ha speso di  meno  è  stato di  1  a  9  per  la  spesa  sociale  complessiva,  di  1  a  11  per  quella  destinata  alle persone  con  disagio  economico  e  di 1  a  9  per  la  spesa  per  il  contrasto  alla povertà.  Le  regioni  a  statuto  speciale  e  le  province  autonome  confermano  la  loro maggiore  capacità  di  spesa,  anche  per  quanto  riguarda  la  povertà  e  il  disagio economico.

Andare oltre l’emergenza
I dati e i fatti dimostrano che le politiche adottate finora per contrastare la povertà e l’esclusione sociale non sono riuscite a incidere sul fenomeno, perciò sostengono gli autori del Rapporto «anziché continuare a insistere su una strada dimostratasi fallimentare è ora importante segnare un netto cambiamento di rotta».
Tra le proposte si ritiene indispensabile «incrementare il rendimento della spesa sociale» e «recuperare i crediti di solidarietà» destinandoli prioritariamente a interventi di Welfare a servizio dei poveri. Vanno messe radicalmente in discussione le politiche di lotta alla povertà basate su misure standardizzate, di tipo burocratico, che guardano alle carte più che alla effettiva condizione delle persone: basta dunque con i «trasferimenti monetari senza responsabilizzazione».
Per aumentare il rendimento della spesa sociale è poi importante la «professionalizzazione dell’aiuto»: «Ad oggi, gli  oltre  100  miliardi  di  euro  di raccolta  fiscale  destinati  ai  servizi  sanitari  sono  trasformati  in  centinaia  di migliaia di  posti  di  lavoro.  Se  questo  criterio  fosse  applicato  alla  spesa  per  servizi  sociali, si  potrebbe  ipotizzare  un  risultato  occupazionale  di  circa  altrettante  migliaia  di posti  attivabili  per  lavori  di  cura  e  infrastrutture  di  Welfare.  Molte  donne  con figli  e  molti  giovani  uscirebbero  dalla  disoccupazione  e  dalla  povertà  lavorando  a servizio  degli  altri». Infine, propongono gli autori del Rapporto, i fondi oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare (17-18 miliardi di euro) potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento superiore misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.

 

 

Fonte: Caritas  Italiana – Fondazione Zancan, “XI  Rapporto  su  povertà  ed esclusione  sociale  in  Italia”, ottobre 2011

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