Tagliare gli sprechi per investire in servizi sociali: incontro di Caritas Piemonte con l’assessore regioale Paolo Monferino

scritto da Redazione il 17 March 2012 in 7 - E' stato sociale lo sarĂ  ancora? and Notizie con commenta

Le risorse finanziarie a disposizione delle amministrazioni locali sono state ridotte drasticamente e lo saranno ancor di più negli anni a venire: come garantire allora i servizi pubblici essenziali nell’area socio-sanitaria? Questo il tema di un incontro della Delegazione Caritas Piemonte-Valle d’Aosta con Paolo Monferino, assessore alla Tutela della Salute e della Sanità e alle Politiche sociali per la Regione Piemonte.
Le attività socio-assistenziali sono funzioni tipiche dei Comuni e degli enti gestori svolte con il contributo e il supporto delle Regioni, che a loro volta usufruiscono in parte di fondi statali. Nel 2011 la Regione Piemonte ha messo a disposizione per queste attività 180 milioni di euro, dei quali 120 milioni di risorse regionali e 60 milioni di fondi statali. La quota di fondi statali derivava da uno stanziamento complessivo di circa un miliardo di euro (950 milioni) che lo Stato aveva fatto due anni prima e che distribuiva alle varie regioni, 60 milioni dei quali erano appunto destinati al Piemonte. Questa quota è stata ridotta da circa un miliardo a 700 milioni di euro nel 2011, per poi essere totalmente azzerata nel 2012. Il risultato è drammatico, ha spiegato l’assessore alla Tutela della Salute e della Sanità e alle Politiche sociali per la Regione Piemonte, Paolo Monferino, nel corso di un incontro con la Delegazione Caritas Piemonte-Valle d’Aosta avvenuto il 19 gennaio 2012: «Non ci sono più soldi dallo Stato a sostegno di queste attività».
Nel bilancio 2012 della Regione Piemonte, quindi, non ci sono più i 180 milioni del 2011 (120 regionali più 60 statali) ma solo 68 milioni: «Questo spiega già di per sé come ci sia stata una riduzione drammatica di fondi che rende non dico insostenibile ma certamente estremamente difficoltoso contribuire in modo significativo allo sforzo che devono fare soprattutto i Comuni per effettuare queste attività» sostiene Monferino. Il Comune di Torino, ad esempio, per il settore socio-assistenziale riceveva circa 40 milioni all’anno dalla Regione, che ora ha però a disposizione solo 68 milioni per tutti i Comuni della Regione.
«Ora ci rendiamo tutti conto che la riduzione di questi fondi ci porta a una situazione molto pesante e che lo sarà ancora di più in prospettiva – osserva Monferino – perché credo che la crisi iniziata nel 2008 sia solo un assaggio di quello che succederà: la gravità della situazione complessiva è tale che ciò che vedremo nei prossimi mesi e anni sarà una prova ancora più impegnativa per tutti».

Spostare risorse dal sanitario al sociale
Di fronte a una situazione simile, l’assessore regionale ritiene che l’unica possibilità per sostenere queste attività sia quella di spostare risorse finanziarie ed economiche dall’ambito sanitario a quello sociale:
«La sanità sarà probabilmente l’unica fonte dalla quale dovremo cercare di stornare risorse economiche per l’area sociale».
La Regione Piemonte spende per il settore sanitario circa 8,5 miliardi di euro all’anno, dei quali circa 500 milioni sono disponibilità regionale mentre gli altri 8 miliardi sono trasferiti dallo Stato. Il Piemonte è però considerata una Regione “tecnicamente in disavanzo”, perché secondo quanto stabilito dal governo centrale spende di più di quanto potrebbe, situazione che ha obbligato l’amministrazione regionale piemontese (così come quelle di altre regioni italiane) ad adottare un piano di rientro per ridurre di 200-300 milioni la spesa complessiva della Regione. «Tutto ciò era già abbastanza critico, tanto che al piano di rientro avevamo pensato di affiancare una riforma dell’intero Sistema sanitario piemontese, che fosse in grado di garantirci strutturalmente una sostenibilità anche per gli anni successivi, invertendo per altro una continua crescita della spesa sanitaria verificatasi negli ultimi 15 anni».
A inizio 2012, però, tutti gli assessori regionali alla Sanità delle Regioni italiane sono stati convocati dal governo, rappresentato ministro della Sanità, che ha comunicato la necessità di scrivere insieme, governo e Regioni (cosa mai successa prima), un nuovo Patto per la Salute. A questa «novità positiva» proposta dal governo, spiega Monferino, si è però aggiunta un’altra novità di ben altro genere: il nuovo Patto per la Salute subirà un taglio 8 miliardi di euro (2,5 miliardi nel 2013 e 5,5 miliardi nel 2014). «Per la Regione Piemonte ciò signifca 640 milioni in meno, cioè i quasi 8 miliardi di euro giungevano al Piemonte dallo Stato centrale si ridurranno a 7,35 miliardi» precisa l’assessore piemontese, secondo il quale «c’è una situazione tragica di necessità di intervento sul sistema sanitario regionale ridurre la spesa sanitaria di oltre 600 milioni, oltre interventi che già ci sono richiesti per rientrare dal disavanzo. Unendo le due cose, signifca far funzionare la sanità regionale del Piemonte con 800-900 milioni: praticamente insostenibile».

Trovare una via d’uscita:alcune richieste delle Regioni
Di fronte alla nuova situazione delineata dal governo in materia sanitaria, i vari responsabili sanitari delle Regioni italiane hanno quindi deciso di utilizzare l’occasione di riscrivere insieme il nuovo Patto per la Salute per chiedere interventi «ad ampio raggio», mettendo mano all’attuale Sistema Sanitario Nazionale (descritto dalla Legge n. 502/92) per cambiare radicalmente approccio, «altrimenti non ci sono possibilità di sostenere un sistema simile» afferma Monferino.
Quattro le principali problematiche sollevate dalle Regioni:

• La prima riguarda la revisione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che sono obbligatori e che devono essere garantiti dalle Regioni a tutti i cittadini italiani. Secondo i rappresentati delle Regioni, gli attuali LEA sono in parte obsoleti, sia perché esistono nuove patologie che impongono nuovi livelli di assistenza sia perché alcuni interventi del passato sono superati e vanno abbandonati. Deve quindi essere fatto un esame generale delle priorità di assistenza per definirne i livelli essenziali.

• La seconda questione posta concerne la compartecipazione alla spesa sanitaria. Come spiega Monferino, «oggi le prestazioni sanitarie sono praticamente gratuite per tutti i cittadini: mi domando se in un momento come questo, in cui un numero crescente di persone non ha neanche i soldi per sfamarsi, non avrebbe senso che i cittadini più abbienti contribuissero pagando parte delle spese sanitaria. Ad esempio, se chi guadagna più di 200.000 euro all’anno dovesse pagare un contributo annuale fsso di 2000 euro per le sue spese sanitarie, non gli cambierebbe sensibilmente la situazione mentre quei soldi diminuirebbero la necessità di un contributo statale e aiuterebbero la collettività ad affrontare il problema».

• La terza questione che le Regioni chiedono di affrontare riguarda privilegi o rendite di posizione) di cui godono alcune figure facenti parte del personale socio-sanitario che non riguardano invece nessun altro lavoratore italiano (ad es. il non poter spostare personale da un ospedale all’altro perché l’attuale normativa non lo consente). «Abbiamo quindi necessità di recuperare flessibilità nel sistema complessivo, ma ciò significa ridiscutere il contratto nazionale» afferma l’assessore alla Sanità piemontese.

• La quarta questione attiene alla messa in discussione di tutta la normativa e legislazione vigente che, in molti casi, blocca e vincola delle scelte che potrebbero essere fatte per razionalizzare le spese. Spiega ancora Monferino: «Esiste ad esempio un vincolo che stabilisce il numero massimo di pazienti mutuati per ogni medico di base, ma se noi supportiamo i medici fornendo servizi di segreteria infermieristici che possono essere svolti nelle strutture pubbliche, garantendo così loro di avere più tempo per visitare, potremmo aumentare numero di pazienti e quindi diminuire costi. Il problema è che non lo possiamo fare perché l’attuale legislazione ce lo impedisce. Quindi noi vorremmo ripulire tutta la normativa e la legislazione vigente da questi vincoli eccessivi, che oggi non sono più giustificabili e sostenibili».

Secondo l’attuale responsabile della Sanità piemontese, dunque, queste proposte avanzate dalle Regioni italiane al governo potrebbero permettere di ridurre sensibilmente i costi senza impattare negativamente sui servizi, dando inoltre la possibilità di trasferire risorse importanti dall’area sanitaria quella socioassistenziale, anche a supporto dei comuni.

Generare risorse evitando gli sprechi
Il quadro delineato è chiaro, dal livello nazionale quello locale: le risorse finanziarie a disposizione scarseggiano e continueranno a ridursi. Altrettanto chiara è però la domanda che sorge spontanea ad ogni cittadino, e che la Delegazione Caritas Piemonte-Valle d’Aosta ha naturalmente posto all’assessore Monferino: come si può fare allora per garantire alcuni servizi essenziali in ambito socio-sanitario, senza quali un Paese profondamente provato dalla crisi economica rischia di compromettere una già difficile coesione sociale?
«La mancanza di fondi è un dato di fatto, ma è anche evidente quante risorse siano ancora adesso distribuite inutilmente quindi sprecate, anche a livello regionale e anche nell’area sanitaria. Questi sprechi, moltiplicati per tutti gli assessorati regionali, per tutte le regioni comuni fino al livello di governo centrale ed enti nazionali, ammontano a cifre enormi. Una seria opera di razionalizzazione permetterebbe invece di risparmiare utilizzare diversamente una quantità di soldi pubblici rilevante, tutte risorse finanziarie che dovrebbero essere utilizzati per restituire servizi. Il primo obiettivo, del governo nazionale così come dei governi regionali e locali, deve perciò essere quello di generare risorse attraverso la riduzione degli sprechi quindi dei costi, così da poter disporre di fondi da utilizzare per i servizi essenziali da investire anche in ottica di prevenzione» afferma Monferino, sottolineando però come tutto ciò può essere concretizzato una sola condizione: «Naturalmente deve cambiare l’approccio politico, che non va più rivolto alle prossime elezioni bensì alla effettiva risoluzione dei problemi».

 

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