Marco Revelli: «Vulnerati e nuovi poveri nell’Italia in crisi»

scritto da Redazione il 10 March 2010 in 1 - Soglie di Povertà and Opinioni e commenti con commenta

Dal punto di vista delle ricadute sociali ho l’impressione che gli effetti della crisi li cominciamo a vedere solo adesso, ma in ogni caso la situazione è già cambiata: oggi i vulnerabili sono diventati vulnerati». L’amara ma realista constatazione della situazione italiana attuale è di Marco Revelli, presidente della Commissione di indagine sulla povertà e l’esclusione sociale, secondo il quale stiamo assistendo a «uno spostamento verso il basso di tutta la società». Così, alle persone che già si trovavano in condizioni di povertà, soprattutto nelle aree più deboli del Paese, si stanno aggiungendo dei “nuovi poveri”, i poveri “occulti”, cioè persone che si sforzano di mantenere lo stesso stile di vita o la stessa immagine di sé che avevano prima della crisi ma che ora non possono più permetterseli. Si tratta di migliaia di famiglie che fino a due o tre anni fa si consideravano sicuramente al di sopra del rischio di povertà e per le quali l’impoverimento diventa scioccante, osserva Revelli, «un trauma che si riverbera sulla stima di sé, sui rapporti familiari, sullo stato psicologico generale che determina depressione, autoemarginazione, litigiosità e tutto questo apre spesso una reazione a catena».

La situazione italiana
Oggi in Italia si stimano circa 10,5 milioni di persone in condizioni di “povertà relativa”, il che equivale al 17,7% circa della popolazione complessiva. La stima è contenuta nel Rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale in Italia curato da Caritas italiana e Fondazione Zancan. Si tratta di una stima basata sulle rilevazioni Istat 2009 che, analizzando i dati 2008, ipotizzavano 2,7 milioni di famiglie italiane povere (11,3% del totale delle famiglie) per un totale di oltre 8 milioni di persone in povertà relativa a fine 2008, cui si aggiungevano però oltre 2 milioni di persone che superavano solo del 10% la soglia di povertà (soglia che nel 2008 era di 999,67 euro per una famiglia di due componenti). Il Rapporto Caritas/Zancan ritiene «verosimile pensare» che la crisi economico-sociale dell’ultimo anno abbia diminuito il potere d’acquisto di tutte le famiglie e che, di conseguenza, abbia ridotto il piccolo margine che separava quei 2 milioni dalla soglia di povertà: così, si ipotizza che la crisi abbia accresciuto il numero di poveri in Italia del 4%, portandolo complessivamente a oltre 10 milioni. Di questi, circa 3 milioni vivono poi in condizioni di “povertà assoluta” (il 5% circa della popolazione), cioè con una qualità di vita al di sotto del “minimo accettabile” e quindi non in grado di acquisire beni e servizi che permettono loro di evitare gravi forme di esclusione sociale.

Crisi e impoverimento
La crisi economica dell’ultimo anno ha avuto ricadute sociali rilevanti anche in Italia, creando un impoverimento diffuso che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone appartenenti alla classe media o medio-bassa. L’incertezza del lavoro, le difficoltà economico/finanziarie e i dubbi sul futuro hanno così interessato titolari di contratti a termine, lavoratori “a progetto” o autonomi, operai e impiegati che hanno perso il posto di lavoro spesso senza indennità di disoccupazione. La sorte più grave ricade sui lavoratori precari, sottolinea il Rapporto Caritas/Zancan, con centinaia di migliaia di giovani che si erano aggrappati alla prospettiva della flessibilità e che si sono ritrovati senza lavoro, «per di più con ammortizzatori sociali inesistenti o del tutto insufficienti».
Come evidenzia lo studio Dimensioni della disuguaglianza in Italia (a cura di A. Brandolini, C. Saraceno e A. Schizzerotto), nell’attuale congiuntura economica i nessi tra situazione lavorativa e condizione economica delle famiglie meritano particolare attenzione: «Il più elevato rischio di povertà per coloro che vivono in famiglie in cui tutti gli occupati hanno impieghi atipici, specialmente se a termine, è controbilanciato dalle maggiori opportunità di lavoro che queste occupazioni offrono (…). Se questo meccanismo compensativo può funzionare in un periodo di crescita dell’economia, esso rischia di venir meno in una fase di profonda recessione come quella presente». I lavoratori parasubordinati o con contratti a termine sono così allo stesso tempo i più esposti alla perdita dell’impiego e anche i meno protetti dagli ammortizzatori sociali, causa l’elevata frammentarietà dei loro percorsi professionali. In una situazione in cui molte persone hanno risorse patrimoniali limitate, insufficienti a garantire standard di vita minimi anche per brevi periodi, osserva lo studio, «assume rilievo la debolezza della rete di protezione sociale italiana e soprattutto la mancanza di strumenti di sostegno al reddito nelle condizioni di maggiore difficoltà economica»

In aumento la vulnerabilità
Alla nozione di povertà va dunque affiancata quella di “vulnerabilità”, che coglie una situazione dinamica di esposizione a fattori di rischio. Il Rapporto Istat 2009 stima che il rischio di vulnerabilità economica abbia interessato una persona su cinque nel corso del 2008 in Italia. L’Istat osserva alcune caratteristiche della vulnerabilità: è particolarmente elevata nelle regioni del Sud, dove interessa una famiglia su tre; cresce con il numero di figli, soprattutto se minorenni; circa 2,5 milioni di famiglie in Italia non dispongono di risorse per affrontare una spesa imprevista di 700 euro; 1,3 milioni di famiglie si sono ritrovate almeno una volta senza soldi per pagare alimenti, vestiti, trasporti e spese mediche; 1,5 milioni di famiglie denunciano alti rischi di arretrati nel pagamento di affitti e bollette, nonché maggiori limitazioni nella possibilità di riscaldare adeguatamente la casa.
Il problema della sostenibilità delle spese familiari di base è evidenziato da alcuni dati resi noti nel giugno 2009: l’Enel ha comunicato che nel primo quadrimestre 2009 gli abbassamenti di potenza e i distacchi per morosità prolungata sono aumentati del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; le famiglie in ritardo con il pagamento delle bollette del gas sono aumentate del 15%; gli sfratti per morosità nel pagamento degli affitti sono aumentati del 18%; l’80% circa delle famiglie paga le spese condominiali con 3-6 mesi di ritardo; è in aumento la percentuale di genitori che non pagano la mensa scolastica per i figli.

Come affrontare la povertà
Secondo l’analisi del Rapporto Caritas/Zancan, un piano efficace contro la povertà dovrebbe assumere alcune caratteristiche: «Privilegiare i più deboli, affrontare la povertà nella sua complessità, adottare una strategia articolata, privilegiare la territorialità». Il Rapporto individua poi quattro situazioni che esigono particolare attenzione.
A livello di concentrazioni sociali la famiglia: la povertà comporta un impegno politico da affrontare soprattutto in ottica di prevenzione e a vari livelli, di equità fiscale, dei servizi alla persona, dell’edilizia popolare, dell’occupazione; è necessario «ripensare il quadro del welfare, mettendo al centro la famiglia». A livello territoriale il Sud: oltre la metà dei “poveri assoluti” in Italia vivono nel Meridione; in Campania, ad esempio, le richieste di aiuto rivolte alla Caritas sono aumentate del 50% in un anno. Nel ripartire dalla crisi, sostiene il Rapporto, «se si vuole costruire una situazione di giustizia si deve avere il coraggio di attribuire le risorse in parti diseguali».
A livello socio-sanitario la non autosufficienza: legata talvolta alla disabilità fisica o psichica e talvolta all’età avanzata, in ogni caso si tratta di persone senza risorse sufficienti e che necessitano di solidarietà. Si parla da anni di un Fondo per la non autosufficienza ma, osserva il Rapporto, «resta da verificare se esista a livello nazionale, se la sua consistenza sia adeguata e da quali fonti esso debba venire alimentato».
A livello di composizione demografica gli immigrati: in tempo di crisi sono tra le categorie più a rischio perché in gran parte lavoratori precari; vivono situazioni di particolare fragilità per la provvisorietà della loro permanenza in Italia. Inoltre, il clima di intolleranza e di ostilità sviluppato nei loro confronti negli ultimi tempi dà la sensazione di essere tornati a un clima di razzismo. Eppure, gli immigrati contribuiscono a circa il 7% del PIL italiano, gestiscono 165.000 aziende con 200.000 lavoratori dipendenti, mandano oltre 6 miliardi di euro ai Paesi d’origine sotto forma di rimesse finanziarie. L’aiuto che essi domandano, sottolinea il Rapporto, «è anzitutto un atto di giustizia, ma è nello stesso tempo un interesse per l’Italia e una scelta di buon senso».

Responsabilità a più livelli
La lotta alla povertà può però avere esito positivo solo con un impegno complessivo della comunità. Come osserva il Rapporto Caritas/Zancan, le persone che vivono direttamente la condizione di povertà non devono essere solo destinatarie di interventi, come avviene nelle tradizionali forme di assistenzialismo, ma devono essere coinvolte attivamente in tutti i passaggi del processo.
La società civile, poi, è un soggetto di fondamentale importanza nella lotta alla povertà: perché il disagio dei poveri è aggravato dall’emarginazione sociale e perché «nella società fioriscono le espressioni più qualificate di solidarietà che storicamente, in assenza dello Stato, sono state le uniche forme di aiuto e di assistenza ai poveri». Perciò dalla famiglia al volontariato, dalle realtà cooperativistiche al mondo dell’as-sociazionismo, tutte le componenti sociali vanno coinvolte e «devono organizzarsi per diventare forza di pressione nei confronti delle forze politiche e dei governi affinché il tema della lotta alla povertà entri sistematicamente nell’agenda politica».
Infine lo Stato. A livello di governo centrale, che deve fissare le linee generali di un piano di lotta alla povertà, ma anche di governo regionale e comunale. I livelli territoriali sono infatti determinanti per l’attuazione di qualunque piano di lotta alla povertà e devono farsi carico di conoscere chiaramente il fenomeno a livello quantitativo e qualitativo nonché di valutare l’impatto e l’efficacia degli interventi, oltre a valorizzare e coordinare le risorse umane, strutturali e finanziarie presenti sul territorio.

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